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giovedì 2 febbraio 2017

La luna e i falò, Cesare Pavese

La luna e i falò - Cesare Pavese
Pagine: 211
Edizione: Einaudi


TRAMA                                                                              
Il protagonista, Anguilla, all'indomani della Liberazione torna al suo paese delle Langhe, dopo molti anni trascorsi in America e, in compagnia dell'amico Nuto, ripercorre i luoghi dell'infanzia e dell'adolescenza in un viaggio nel tempo alla ricerca di antiche e sofferte radici. 


RECENSIONE                                                                   
Il protagonista di questo libro non ha nome, non ha radici, non ha una famiglia. Fin dall’inizio si presenta come un atomo solitario vagante per l’universo, che finisce per atterrare nella valle del Belbo, come per caso, più che per scelta. Qui incontra qualche suo simile, ma soprattutto elementi poco reattivi con lui. Gli viene dato un nome, Anguilla, diversi tetti sotto cui stare, ma non si sentirà mai al suo posto. È formidabile il modo in cui Pavese riesce a rendere la condizione ambigua di questo soggetto, l’espatriato, tipica figura dei suoi romanzi. L’espatriato è colui che alla ricerca di una vita migliore, del proprio posto nel mondo o semplicemente per fare fortuna si sposta dal paese d’origine e viaggia, soprattutto all’estero e nelle Americhe. Ma un giorno, spinto da un richiamo interiore, torna alla propria terra d’origine con tutto ciò che questo comporta, trovandosi a dover confrontare il cambiamento e lo spaesamento. Tale condizione richiama quella di Pavese stesso, che durante la sua vita venne condannato a tre anni di confino in Calabria con l’accusa di antifascismo. 
Il suo Anguilla è un bastardo che convive senza apparente difficoltà con questa sua natura dai tratti sfumati, indefiniti. Sembra star bene senza sapere chi l’ha messo al mondo, di che colore erano gli occhi di sua madre, qual è la sua vera terra, la sua vera casa, tutto ciò che compone il suo vero Io. Semplicemente atterra per caso sulle rive del Belbo, a Santo Stefano in Piemonte, come un piccolo uccellino incapace di volare piomba al suolo.
All’inizio del racconto egli è adulto. Lo incontriamo al momento del suo ritorno dopo aver fatto fortuna in America e compiamo insieme a lui un percorso a ritroso: l’infanzia nella famiglia adottiva, l’adolescenza nella villa della Mora con le tre belle Silvia, Irene e Santina. Soprattutto quest’ultima parte è come dilatata, occupa moltissime pagine. Le avventure adolescenziali di Anguilla sono quasi nulle, la sua realtà è scandita dal lavoro nei campi, dalla sua diligenza. La sua persona è quasi invisibile in questa parte della narrazione, si affida all’osservazione, a guardare gli altri vivere la propria giovinezza al posto di viverla lui stesso. È un personaggio  che si mantiene nell’ombra e resta sconosciuto tanto agli altri personaggi quanto al lettore stesso. Passa le sue giornate in un atteggiamento di modestia, devozione e senso del dovere; a lavorare, a svolgere i compiti che gli sono affidati. Non si capisce perché lo faccia, dato che nei suoi pensieri finisce per prevalere sempre il fascino del rumore del treno che passa, diretto verso mete sconosciute, o i sogni di uno spazio più aperto, impregnato di libertà. Le sue uniche gioie sono la visione di Silvia, il suo amore di lontano che mi ha ricordato un po’ quello del Dolce Stil Novo o l’ammirazione di Leopardi verso la giovane omonima; l’ascolto delle canzoni che Irene suona al pianoforte con le sue mani ben curate. Le due fanciulle sono una parte essenziale del racconto, pur non entrando quasi mai in diretto contatto con Anguilla, mantenendosi sempre ad un gradino di distanza rispetto a lui, che si limita a guardarle di sotto in su. L’unica idea certa che come lettrice sono riuscita a formarmi sul personaggio di Anguilla è che lui sia in realtà superiore alle ragazze, che le guardi inconsapevolmente dall’alto verso il basso, grazie al suo animo ricco di ambizione e aspirazioni di grandezza che si oppone alla superficialità e sostanziale nullafacenza delle due.  
I ricordi seguono quasi sempre l’ordine cronologico, nonostante spesso ci siano dei balzi in avanti, perché ci si concentra su quelli più vividi o su momenti cruciali. Ci sono poi flash del successivo trasferimento a Genova, delle prime relazioni con le donne, e qualche capitolo viene dedicato anche all’America, ma solo in modo fugace. Il tanto bramato desiderio di allargare i propri orizzonti viene quindi esaudito, ma non sembra essere così soddisfacente e fondamentale come sembrava: scompare nell’ombra del passato nella terra della giovinezza, che viene riscoperta nel presente.
L’espediente del ritorno dopo molti anni da parte del protagonista permette di intrecciare il filone dei ricordi alla vita presente. Tanto l’ambientazione quanto le persone vengono come ritratte in maniera speculare, com’erano e come sono.La condizione che Anguilla trova al suo ritorno viene rappresentata emblematicamente dalla famiglia stabilitasi nella casa della sua infanzia: una famiglia misera, composta da persone brutte, vecchie, deformi.  La cosa più agghiacciante è che il narratore rifiuti lo sguardo critico, a favore di un lucido tagliente realismo. Lo storpio, giovane Cinto è agli occhi di Anguilla ciò che sarebbe stato lui se fosse rimasto nel paesino, cristallizzato e immutabile come un minerale in una realtà ignorante e statica. La drammaticità del suo destino ritrae tutta la tristezza della condizione di ristagno di chi affonda le proprie radici nella povertà; esso sembra inoltre rispecchiare la crudele sorte riservata alle tre belle sorelle della Mora, come a voler dire che dall’adolescenza del protagonista, appartenente ad un tempo ormai concluso, fino all’età adulta del presente le
cose non siano cambiate. Come se le belle e ampie valli ricche di coltivazioni siano perseguitate da anni da una maledizione che si abbatte su chi non ha il coraggio di cambiare la propria vita, di lanciarsi verso un ignoto futuro migliore.
Un filo conduttore nella vita del protagonista è Nuto, prima mentore e poi amico alla pari. È un personaggio d’effetto, che si stampa nella memoria del lettore e vi resta. Ha personalità, senso della giustizia e ideali corretti in un mondo dagli orizzonti ristretti e forgiato nel pregiudizio bigotto. Pur restando sempre “nei paraggi” egli ha avuto il coraggio, seppur solo per qualche anno, di ribellarsi al destino che gli era stato riservato, ovvero quello di proseguire il lavoro del padre, e ha preferito spostarsi, cambiare continuamente la sua posizione sulla mappa grazie al mestiere di musicista. In quegli anni si è dato ad una vita libertina, fatta di frequenti notti in bianco nei campi dopo le feste di paese, continuamente spostandosi nelle cittadine circostanti come fosse il pifferaio magico con una schiera di giovani ballerini brilli al seguito.  Una vita spavalda interrotta dall’orrore e dalla crudeltà della guerra, che riporta tutti con i piedi per terra, attenti alle necessità primarie e alla sopravvivenza.
Pur nella sua semplicità, ho trovato questo libro molto denso. La sostanziale mancanza d’azione  permette di immergersi nelle profondità dell’animo umano, di indagare la bramosia che spinge nelle viscere delle persone più umili. È un romanzo, soprattutto, che mi ha trasmesso tristezza, come se la depressione di Cesare Pavese non potesse evitare di impregnare la sua scrittura. Essa traspare, in più punti, in modo velato ma percepibile: un’amarezza della vita che fa da sfondo costante. 


VOTO                                            

martedì 11 novembre 2014

Mancarsi - Diego De Silva

Mancarsi - Diego De Silva
Pagine: 98
Edizione: Einaudi


TRAMA                          
Irene vuole essere felice, e quando il suo matrimonio inizia a zoppicare se ne va. Nicola è solo, confusamente addolorato dalla morte di una donna che aveva smesso di amare da tempo. Anche lui, come Irene, è mosso da un'assoluta urgenza di felicità. Anche lui vuole un amore e sa esattamente come vuole che sia fatto.
Sarebbero destinati a una grande storia, se solo s'incontrassero una volta nel bistrot che frequentano entrambi. Ma il caso vuole che ogni volta che Nicola arriva, Irene sia appena andata via. 
Se le vite di Nicola e Irene non s'incontrano fino alla fine, le loro testo invece s'incontrano furiosamente nelle pagine di questo libro: i pensieri, le derive, il sentire si richiamano di continuo, sono ponti gettati verso il nulla o verso l'alto.


RECENSIONE                         
Mancarsi. Solo otto lettere che aprono un mondo, infinite possibilità: mancarsi, perchè? Mancarsi e come? Mancarsi reciprocamente? No, in questo libro si parla di mancare a sè stessi.
Da quando hanno perso, chi per scelta e chi involontariamente, la persona con cui condividevano il loro tempo, Irene e Nicola hanno un vuoto dentro che non riescono a colmare e in cui si sono persi, senza riuscire più a ritrovarsi, mancandosi. Un vero e proprio buco nero, un piccolo mondo che si nasconde dietro a due nomi banali, due adulti anonimi, ormai inscindibili dalla loro routine. 
Ma come tutti sappiamo, dietro ai volti che si confondono nella folla, talvolta si celano grandi anime. 
In questo libro, le due grandi anime stanno sedute al tavolino di un bistrot. 
L'ambientazione è raffinata, perfettamente adeguata a tutto il resto. Mi sono immaginata un locale piccolo, modesto, ma estremamente accogliente ed elegante, un po' vintage, sullo stile di Colazione da Tiffany, con grandi vetrate al di fuori delle quali i nostri protagonisti vedono scorrere la vita degli altri. Un piccolo angolo di pace in cui il tempo sembra fermarsi.
Irene e Nicola vi arrivano sempre allo stesso orario, ordinano sempre le stesse cose e siedono sempre allo stesso posto, a fronte del manifesto di Buster Keaton, un'immagine che ha assunto un significato profondo per entrambi, che rievoca grandi ricordi e che portano nel cuore.
E' estremamente appassionante vedere come, fin dall'inizio, noi lettori conosciamo il destino dei due, ma non lo vediamo compiersi. 
Una volta ho letto una frase, che parlava della leggenda del filo rosso del destino e che mi sembra perfetta per riassumere in poche righe l'immagine che avevo stampata fissa nella mente, mentre leggevo:

"La leggenda del filo rosso del destino è una credenza molto diffusa in Giappone, che si rifà a un'antica leggenda cinese. La leggenda narra che ognuno di noi nasce con un invisibile filo rosso legato al mignolo  della mano sinistra. Questo filo ci lega indissolubilmente alla persona a cui siamo destinati: il grande amore, la nostra anima gemella. Le due persone così unite sono destinate ad incontrarsi, non importa il tempo che dovrà passare, le circostanze o le distanze che le separano, perchè il filo rosso sarà lunghissimo e fortissimo e non si spezzerà mai. Sarà lo stesso destino a tenerlo saldo e unito finchè esse non s'incontreranno."

Diego De Silva si diverte, in questa breve storia, a giocare col destino dei due protagonisti, a muoverli come se fossero pedine di una scacchiera, senza farli incontrare, ma lasciando in risalto il
colore rosso vivo del filo che li lega. Seguiamo separatamente, a capitoli alternati, la vita dell'uno e dell'altro e ne notiamo i caratteri comuni, tifiamo perchè questi due cuori affini riescano ad incontrarsi e a sentirsi finalmente completi. Perchè entrambi sono consapevoli del buco nel petto ed entrambi sanno perfettamente cosa servirebbe per colmarlo: un amore. Un amore che conoscono già nella loro mente, un amore che sta nei pochi secondi in cui arrivano a sfiorarsi senza mai toccarsi, quel breve spazio che li divide quando lei esce dal bistrot e lui entra. 
Vi è poi la vita fuori dal piccolo bar: abitudinaria e ripetitiva per Irene, stranamente piena per Nicola, che da quando ha perso la moglie ha ricominciato a vivere e a recuperare i propri spazi a piccoli morsi. 
Nonostante la brevità, questo piccolo romanzetto è un vero e proprio concentrato di vita e i flash, gli sprazzi di quotidianità che ci vengono proposti sono tra i più vari, ma in prevalenza si tratta di ricordi, I personaggi sembrano muoversi in un sogno, in una bolla di sapone, perchè il registro e i toni dell'autore sono sempre estremamente delicati. Un'eccezione a tutto ciò, sono i racconti riguardanti gli spasimanti di Irene, che cercano di rimorchiarla al bistrot e di appropriarsi della sua straordinaria bellezza. Con una narrazione abbastanza ironica e schietta, ci vengono raffigurate con destrezza diverse tipologie umane, quasi beffandosene, come se fossero caricature.
Il finale è un bellissimo climax: è come se tutto, all'improvviso, ricevesse una spinta, come se la bolla di sapone fino a quel momento intatta si rompesse e i personaggi cominciassero a correre, spintonando la folla che li aveva sempre nascosti.
Mancarsi mi aveva attirato fin dal primo istante. E', innanzitutto, uno di quei libri il cui solo titolo ha una fortissima risonanza e sembra parlare da solo. Un piccolo volume, estremamente sottile e leggero, che passa inosservato sugli scaffali della biblioteca, ma che contiene in sè tanta poesia, proprio come i personaggi stessi.
E' un piccolo grande libro sulla vita, sul destino e sull'amore; ruba solo un'ora, ma fa sognare.


VOTO: 9

mercoledì 2 luglio 2014

Le affinità elettive - Wolfgang Goethe

Le affinità elettive - Wolfgang Goethe
Pagine: 333
Edizione: Einaudi
Titolo originale: Die Wahlverwandschaften



TRAMA                   
Il solido matrimonio di Edoardo e Carlotta viene scosso dall'arrivo del Capitano e della giovanissima Ottilia. Ben presto le affinità elettive tendono a unire da una parte Edoardo e Ottilia e dall'altra Carlotta e il Capitano. Se Edoardo si abbandona alla passione, inebriato dai propri sentimenti, Carlotta cerca invece di frenarsi e far vincere la ragione, mentre Ottilia risponde alla legge dell'istinto con un sentimento totale ma rigoroso e castissimo.


RECENSIONE                    
Dopo aver letto e amato I dolori del giovane Werther ero davvero curiosa di affrontare qualcos'altro di Goethe. Approfittando del tempo libero durante le vacanze al mare, ho deciso di iniziarlo e, anche se non si tratta esattamente del classico libricino leggero da spiaggia, l'ho finito in poco tempo e l'ho trovato molto coinvolgente in certi punti. E', inoltre, scorrevole grazie ai capitoli brevi che si susseguono con facilità. La narrazione al passato che si trasforma al presente durante il raccontare di certi avvenimenti, permette un notevole aumento del ritmo, che rende certi episodi addirittura frenetici, che non mi aspettavo da un classico di Goethe. In certi istanti, sembra di assistere ad una sitcom: corse pazze a riprendersi dopo essersi lasciati, baci rubati e amori di nascosto.
Tutto questo avviene principalmente nella prima parte del libro, in cui vi è un'approfondita analisi dei sentimenti dei quattro personaggi e del modificarsi delle loro relazioni. 
Da una situazione principale in cui vi è solo una coppia si passa ad avere quattro persone, che come attratte da una calamita, come secondo uno schema calcolato, si sentono attratte da chi non dovrebbero.
Carlotta ed Edoardo, Ottilia e il Capitano. Ma il destino vuole giocare con loro e d'un tratto ci troviamo davanti a Edoardo con Ottilia e il Capitano con Carlotta. 

Questi mutamenti vengono descritti in modo molto chiaro ed efficace in un bellissimo dialogo sulla scienze con cui gli ospiti si intrattengono, e in cui si parla delle affinità elettive tra gli elementi chimici. Ci sono chiaramente dei lampanti riferimenti ai rapporti interpersonali creatisi, e vengono illustrate anche le conseguenze di queste particolari attrazioni, come se si trattasse di una profezia destinata ad avverarsi.
Per quanto riguarda i personaggi in sè, tutti sono molto ben definiti e caratterizzati, tranne il Capitano che mi è sembrato più presente nei discorsi, ma meno descritto, un po' marginale. Molto dettagliati, invece, gli eventi che ruotano intorno all'amore pronto a sbocciare di Edoardo e della castissima Ottilia.
Un tema particolarmente rilevante, di cui si parla abbastanza lungo e approfonditamente è quello del matrimonio. Mi ha stupito moltissimo come si parli di divorzi e di amanti con idee che si avvicinano molto a quelle dei giorni nostri, risultando molto attuali e moderne, soprattutto per quanto riguarda la figura della donna. Nei classici, solitamente, o nei racconti un po' vecchi è normale essere abituati ad una donna dipendente prima dal padre, poi dal marito. Qui, invece, la figura femminile è messa al pari con l'uomo e può prendere decisioni di sua volontà. Vediamo spesso Carlotta, per esempio, intrattenersi con il Capitano durante gite in barca o passeggiata, in assenza del marito, fatto simbolico della sua indipendenza e autonomia.
Nella seconda parte del libro assistiamo ad un radicale cambiamento. 
Innanzitutto, spariscono dalla scena le figure maschili, lasciano così sotto "il riflettore" solo le due donne. 
L'amore passa dall'essere pieno di speranza e portatore di vita, all'essere un amore distruttivo che mi ha ricordato moltissimo ciò che provava Werther: un amore che porta vero e proprio dolore fisico, sofferenza tenuta nascosta, sacrifici e attesa.
Per un buon numero di pagine questa metà del libro è particolarmente statica e abbastanza pesante; ciò è dovuto al fatto che, essendoci meno personaggi, le svolte diminuiscono e il libro cade per un po' nel monotono. Anche il registro diventa alto e artificioso, i temi si fanno più astratti e i discorsi diventano più difficoltosi da seguire.
Un'aggiunta, di cui non ho capito il motivo, è l'inserimento delle pagine di diario di Ottilia a fine capitolo che sembrano anche essere poco legate a tutto il resto.
Verso il finale, la storia ha una ripresa, fortunatamente. Viene reintrodotta la figura maschile di Edoardo e anche, marginalmente, quella del capitano, fatto che riporta la situazione ad essere molto simile a quella iniziale, ma estremamente cambiata se vista più da vicino, internamente alle persone che la vivono.
Dopo un paio di episodi frenetici e coinvolgenti, che mutano parecchie carte in tavola, si arriva ad un finale drammatico abbastanza inaspettato, ma penso tipico dello scrittore.
Nonostante non sia per me ai livelli de I dolori del giovane Werther che ho amato alla pazzia, fino a farlo rientrare tra i miei libri preferiti, la lettura non ha deluso le mie aspettative e trovo che sia stata interessante e piacevole.


VOTO: 8,5

martedì 1 luglio 2014

La promessa- Friedrich Durrenmatt


La promessa - Friedrich Durrenmatt
Pagine: 153
Edizione: Einaudi
Titolo originale: Das Versprechen


TRAMA                    
Nel bosco di Magendorf, un piccolo villaggio nei pressi di Zurigo, viene trovata assassinata una bambina bionda, vestita di rosso. Del delitto è accusato un antipatico ambulante che, dopo aver confessato, si impiccherà. Il commissario di polizia Matthai, che ha seguito il caso e che non crede alla sua colpevolezza, è in partenza per una missione all'estero. Il caso pare chiuso. Ma Matthai è inquieto, gli pesa il suicidio dell'ambulante, e poi si è lasciato strappare dai genitori della bambina la promessa di trovare l'assassino. Matthai non partirà. Solo, abbandonato dalla polizia che non gli perdona di essere rimasto, senza il minimo indizio se non un disegno fatto dalla bambina uccisa, il commissario si butta a capofitto nella sua indagine "impossibile".


RECENSIONE                    
Una bambina bionda con l'impermeabile rosso trovata morta misteriosamente in un bosco; a guidare l'indagine solo un disegno di un gigante torvo come unico indizio. Sembra la premessa per una versione horror di Cappuccetto rosso, o semplicemente l'inizio di un succulento thriller.
Forse è per questo che avevo aspettative abbastanza alte: mi aspettavo di restare immersa tra le pagine senza riuscire a staccarmi, col fiato sospeso, in attesa di scoprire il colpevole.
In realtà mi sono un po' bloccata già alle prime pagine, perchè ho trovato l'inizio un po' "impacciato", come se avesse qualche difficoltà ad ingranare ed entrare nella storia.
Per fortuna i capitoli brevi aiutano ad una maggiore scorrevolezza e pian piano la scrittura si scioglie, tanto che ho finito il libro nello sprazzo di tempo di un viaggio in treno.
Alcuni aspetti della narrazione mi sono sembrati un po' sommari e solo abbozzati, come per esempio quello delle ambientazioni pressochè assenti. Capisco che essendo quasi sempre luoghi naturali come il bosco non ci sia molto da descrivere, ma trovo che in un romanzo di questo tipo sia importante dare un contesto abbastanza preciso.
La storia è raccontata in terza persona da un narratore interno, il capo del distretto, spettatore dell'indagine che ha portato alla rovina l'ispettore Matthai, uno dei suoi uomini migliori. La voce narrante decide di raccontare tutto allo scrittore che a sua volta è citato nel libro e che nel bel mezzo della storia interviene per darci alcune informazioni riguardo alle sue scelte stilistiche. Pur essendo l'intervento breve, ha spezzato la storia e ho trovato che sarebbe stato qualcosa da scrivere più in un prologo che in mezzo alla storia, anche perchè il narratore stesso talvolta si lascia andare in critiche e riflessioni personali che durano anche più pagine. La scelta di raccontare in questo modo, quindi, non mi è sembrata molto azzeccata per vari motivi e anche perchè, essendo coinvolto solo parzialmente, la visuale è abbastanza ristretta e il racconto è troppo distaccato, senza lasciar accesso alle emozioni o a particolari che avrebbero reso la storia accattivante. 
E devo dire che di questi particolari ci sarebbe stato bisogno, perchè dopo un culmine di suspence in cui si vuole scoprire assolutamente la soluzione il libro cade man mano che si prosegue fino ad arrivare ad un finale deludente. 
L'indagine è troncata, la soluzione arriva dopo un lasso di tempo abbastanza lungo ed è molto banale, soprattutto perchè non viene scoperta dopo aver superato ostacoli e difficoltà, ma gli agenti ci sbattono contro involontariamente, quando arriva una confessione inaspettata.
La scelta di un finale scontato, come viene spiegato nel libro, è intenzionale, perchè questo libro ha la funzione di critica nei confronti dei soliti romanzi polizieschi in cui tutto è logico e calcolato, le soluzioni dei casi sono originali, strepitose, scioccanti. Si vuole dimostrare come, invece, nella realtà non ci siano questi sviluppi e tutto resti sul banale, senza niente di spettacolare. Utilizza quindi come esempio un delitto comune con qualche particolare originale, come le caratteristiche della bambina, ma senza spingersi oltre.
Mi è sembrata sicuramente una buona critica, chiara e ben sviluppata; la lettura scorrevole, nonostante l'inizio, ma resta comunque il fatto che non mi ha lasciato nulla e non mi ha suscitato niente.


VOTO: 5

venerdì 16 agosto 2013

Gli occhi dell'imperatore - Laura Mancinelli

Gli occhi dell'imperatore - Laura Mancinelli
Pagine: 113
Edizione: Einaudi


TRAMA
Una contessa piemontese, Bianca di Agliano, in viaggio verso il matrimonio atteso da tutta la vita; l'imperatore Federico II ormai malato e prossimo alla morte; un cavaliere-musico-poeta, Tannhauser, che a causa di un maleficio non sa più amare; un giovinetto, Manfredi, predestinato a un futuro bellicoso e sfortunato; due simpatici servitori in cui si specchiano comicamente le avventure dei loro signori; due falconi e un cane di nome Pelone. Tutti questi personaggi, e soprattutto il "triangolo" Bianca, Federico e Tannhauser, partecipano a un affascinante percorso di avventure e sentimenti, che è anche un intreccio di entusiasmo, rassegnazione e senso del destino.


RECENSIONE
Gli occhi dell'imperatore è un titolo importante, per questo mi aspettavo un 'mattone' dalla copertina quasi lussuosa. Quando l'ho preso in prestito in biblioteca, quindi, non posso negare di essere rimasta un po' delusa. E' un libricino di 113 pagine con una semplice copertina che raffigura un piccolo castello quasi da cartone animato.
Eppure, così poche pagine sono state in grado di contenere molta più poesia di quando credessi. Contiene un amore, una distanza, un viaggio.
La storia si apre su un paesaggio al tramonto e sul momento in cui la duchessa sale sul balcone per rivolgere lo sguardo alla natura che si apre sotto i suoi occhi, immaginando il suo imperatore che fa la stessa cosa nel suo castello. E' un incontro senza contatto, solo attraverso la mente.
Già da questa scena ci sembra di entrare in una fiaba disney, ma in versione triste e un po' più profonda. Se poi analizziamo la scrittura, ci sembra proprio di affogare in un vecchio racconto. E' un linguaggio quasi magico, svolazzante, forbito, quello che si presenta, che da al tutto un'atmosfera quasi innaturale.
Anche i personaggi sono in numero ridotto, ma molto particolari. La duchessa è fuori da ogni convenzione, quasi anticonformista: cavalca con le guardie, invece di viaggiare sulla portantina, per esempio. E' una donna estremamente forte e coraggiosa, pronta a qualsiasi cosa, come qualcuno che non ha più niente da perdere; l'ho immaginata con un'espressione seria e sicura sempre incisa nel volto, ma con occhi estremamente tristi.
Poi c'è Tannhauser, un cavaliere dell'imperatore mandato a prendere la duchessa. Lui e quest'ultima sono uniti dall'aver perso tutto ciò che avevano di più caro e di esservi rimasti attaccati solo attraverso l'immaginazione e l'illusione di speranza. 
Altri due personaggi estremamente "simpatici" sono la nutrice e Nicco, che sembrano una coppietta sposata che litiga in continuazione per delle sciocchezze, ma che torna sempre a cercarsi.
Tutte le ambientazioni sono descritte in maniera abbastanza accurata, mentre, l'unica cosa che non mi è piaciuta molto, è che le situazioni sono quasi sfuggenti. Idilliache, colorate, in cui il lettore vorrebbe fare ripetuti fermi immagine, ma che terminano troppo presto. E' come se fossero delle farfalle: proprio quando si posano sulla nostra mano aperta e noi ci fermiamo ad osservarle, spiegano le ali e volano via.
Questo forse è provocato dalla brevità del romanzo, fatto sta che dopo pochissime pagine ci ritroviamo alla fine. Il viaggio è in parte omesso e anche il finale è pressochè inesistente. E' come se l'autrice, ad un certo punto, non sapesse più cosa dire e avesse smesso di scrivere: si tronca tutto e il libro finisce su una scena che è di per sè conclusiva, ma che in realtà lascia tutto aperto.
E' un romanzo infinitamente triste e anche molto bello, ma che, a causa della brevità, risulta un po' incompleto.


VOTO: 7

domenica 14 luglio 2013

La cavalcata dei morti - Fred Vargas

La cavalcata dei morti - Fred Vargas
Pagine: 339
Edizione: Einaudi
Titolo originale: L'armée furieuse


TRAMA
Qualcuno ha bruciato vivo nella sua Mercedes un vecchio magnate della finanza e dell'industria. Forse è stato un ragazzo di Banlieu, ma Adamsberg non ci crede. Ha bisogno di prendere tempo. Ed ecco gli arriva, dai boschi della Normandia, un omicidio che sembra scaturire dal Medioevo. C'è un cadavere sul sentiero dove da mille anni i prescelti vedono passare la Schiera Furiosa. Ovvero la cavalcata dei morti, che trascinano con sè anche i vivi condannati a morire per i loro peccati. La giovane, luminosa Lina ha visto la Schiera. E' solo una visionaria, o le foreste normanne celano segreti più spaventosi di un'antica, cupa credenza?


RECENSIONE
Anche se un amico, tempo fa, mi aveva consigliato un suo libro, non avevo mai letto nulla di Fred Vargas. Ma quando, in una lista di ebook, ho visto il titolo "La Cavalcata dei Morti" mi ispirava molto e l'ho scaricato.
Già da principio mi ha colpito per l'originalità delle situazioni e dei personaggi anche secondari.
Innanzitutto l'idea di base è ottima, perché ciò su cui indaga Adamsberg non è un delitto normale, bensì un caso in cui il paranormale, la leggenda, si confonde con la cruda realtà: una serie di delitti compiuti dalla Schiera Furiosa, la Cavalcata dei Morti. 
E' una leggenda che ristagna a Ordebec dal Medioevo e che vede il Sire Hellequin a capo di un esercito di morti, che "ghermiscono" e uccidono tutti coloro che hanno compiuto reati, ma sono rimasti impuniti.
Quando nel paesino, Lina, la messaggera della sua generazione, annuncia di aver avuto una visione della Cavalcata che portava con sè tre ghermiti, e i tre preannunciati cominciano a morire in ordine cronologico, i commissari di Parigi iniziano le indagini.
Ma, anche se la pista della leggenda a volte prende il sopravvento a giustificare la pigrizia di chi investiga, essa viene lasciata da parte e comincia la ricerca di un killer.
Qualcuno che usa il pretesto della Schiera per uccidere?
Un pazzo a servizio di Hellequin per redimere i suoi peccati?
O una setta nata grazie alla leggenda?
Queste sono state le idee che mi sono balenate in testa, ma che si sono tutte aggrovigliate in un'unica rete durante la lettura; perché non viene lasciato intravedere niente, o meglio, i sospettati variano di capitolo in capitolo. 
Inoltre, a questo caso se ne aggiungono altri. 
Il capitalista più importante della città bruciato vivo nella sua Mercedes, un ragazzo ventitreenne scelto come colpevole a causa di suoi vecchi reati, addirittura la ricerca del "bastardo" che ha legato le zampe del piccione Hellebaud.
Dalla prima pagina ci si ritrova coinvolti nelle indagini, ma senza la presenza di personaggi così particolari tutto sarebbe stato sminuito. L'aspetto psicologico di tutti è studiato in modo minuzioso e approfondito; cosa un po' fuori dalla norma nei thriller che, a meno che non siano proprio psicoligici, solitamente si basano solo sui fatti.
Il commissario Adamsberg, sempre sfuggente ma straordinariamente intelligente e intuitivo. Retancourt, la donna mastodontica, ma affascinante come nessun altro. Danglard e Veyrenc, stretti amici del commissario, in continua combutta per entrare nelle sue grazie. Per non parlare della famiglia Vendermot, che è stata quella per cui ho tifato per tutta la durata della storia, e che aspettavo veder comparire in ogni momento, per deliziarmi con la loro stranezza.
Il finale, quando tutto viene risolto e svelato, non è stato un'esplosione di sorpresa; è come se la soluzione fosse sempre stata lì sotto i miei occhi, come se lo avessi sempre saputo senza accorgermene. Un effetto strano, che non so spiegare.
Unica cosa che sottrae il romanzo alla perfezione assoluta è il ritmo. Un po' troppo lento per essere un thriller, forse a causa del pensieroso ed estremamente diplomatico commissario; i colpi di scena non sono pochi, ma così distanti l'uno dall'altro da creare un'acqua un po' troppo calma; gli indizi svelati lentamente.
Da alcuni potrebbe essere considerato un libro da gustare con calma, da altri un libro troppo statico e noioso. Io sto nel mezzo.
E' adatto per chi ama i gialli, il thriller, le indagini; ma con un procedere pacato, un carattere dei personaggi curato nei dettagli, non un ritmo frenetico che non ti fa staccar gli occhi dalle pagine.
Una storia in cui ci si immerge con calma, come per adattarsi ad acque troppo fredde, come il clima di Ordebec. 


VOTO: 8,5 

domenica 30 giugno 2013

Il giovane Holden - J.D. Salinger

Il giovane Holden - J.D. Salinger
Pagine: 248
Edizione: Einaudi
Titolo originale: The catcher in the rye


TRAMA
Sono passati cinquant'anni da quando è stato scritto, ma tutti continuano a vederlo, Holden Caufield, con quell'aria scocciata, insofferente alle ipocrisie e al conformismo, lui e la sua "infanzia schifa"e "le cose da matti che gli sono capitate sotto Natale", dal giorno in cui lasciò l'Istituto Pencey con una bocciatura in tasca e nessuna voglia di farlo sapere ai suoi. La trama è tutta qui, narrata da quella voce spiccia e senza fronzoli. Ma sono i suoi pensieri, il suo umore rabbioso, ad andare in scena. Perchè è arrabbiato Holden? Non lo si sa con precisione, quindi ognuno ha potuto leggervi la propria rabbia e assumere il protagonista a "exemplum vitae".


RECENSIONE
Il giovane Holden è considerato da molti un classico moderno e un "must read".
Così, affascinata dal fatto che il titolo originale risultasse pressoché intraducibile, ed essendo stato consigliato tra le letture estive per la scuola, ho deciso finalmente di tirarlo fuori dallo scaffale e iniziarlo.
La prima cosa che mi ha colpito è stata la scrittura: molto naturale, quasi parlata. 
E' piena di espressioni come "o che so io" o "vattelappesca", frasi dialettali (che penso perdano molto con la traduzione). All'inizio risultava decisamente irritante, sembrava scritto un po' alla buona; ma dopo un po' è diventato qualcosa di abituale e addirittura contagioso.
Anche le parolacce, che non sempre sono apprezzabili in un libro, qui contribuiscono a rendere tutto vero e spontaneo.
Sembra proprio di aver davanti Holden che ci parla della sua personalità, ma soprattutto dei suoi difetti. Questo mi ha colpito molto: ho trovato che parlasse di sè come se stesse parlando di qualcun altro, con una naturalezza smisurata, e ogni volta portava ad esempio un'esperienza con cui ci dimostrava che tutto ciò che stava dicendo era assolutamente vero.
E' un personaggio stravagante, ambiguo e mi è stato simpatico da subito.
E' un po' burbero e si irrita con poco, sembra che non vada d'accordo con l'umanità in generale e nemmeno con sé stesso, ma risulta comunque sarcastico e divertente. 
In poche parole, rappresenta in sé il periodo dell'adolescenza che prima o poi tutti passano, e ciò aiuta moltissimo ad immedesimarsi e rivedersi in lui.
Io, personalmente, avevo quasi voglia di incontrarlo per un drink durante le sue camminate notturne, o di fare un giro di notte su un taxi, di parlargli e di cercare di capire tutti i suoi ragionamenti strani. Dovrebbe essere un'ottima persona con cui far conversazione, infatti il libro è principalmente composta da dialoghi e non ci si annoia mai.
A parte questo però, non c'è molto altro da dire. Non è niente di così nuovo ed è anche povero di trama, non avrebbe niente di emozionante o suggestivo se a parlarci non fosse Holden con la sua ironia, e questo a mio parere lo sminuisce notevolemente.
Quando lo si legge, quindi, si capisce di avere davanti agli occhi un racconto importante, perchè Holden ci regala le sue confessioni, ma non ha, a mio parere, una storia o un contesto indimenticabile che ti possa restare per sempre nel cuore. Ricorderò il personaggio, ma non ciò che ha fatto nel libro e questo, non so perchè, mi lascia un po' l'amaro in bocca.


VOTO: 7,5

venerdì 10 maggio 2013

Non lasciarmi - Kazuo Ishiguro

Non lasciarmi - Kazuo Ishiguro
Pagine: 291
Edizione: Einaudi
Titolo originale: Never let me go


TRAMA
Kathy, Tommy e Ruth vivono in un collegio, Hailsham, immerso nella campagna inglese. Non hanno genitori, ma non sono neppure orfani, e crescono insieme ai compagni, accuditi da un gruppo di tutori, che si occupano della loro educazione. Una delle responsabili del collegio, che i bambini chiamano semplicemente Madame, si comporta in modo strano con i piccoli. Anche gli altri tutori hanno talvolta reazioni eccessive quando i bambini pongono domande apparentemente semplici. Cosa ne sarà di loro in futuro? Che cosa significano le parole "donatore" e "assistente"? E perchè i loro disegni e le loro poesie, raccolti da Madame in un luogo misterioso, sono così importanti?


RECENSIONE
Da molto tempo ispiravo a leggere questo libro, ne ho sempre sentito parlare benissimo ed ero molto molto curiosa.
Purtroppo però, appena cominciata la storia, mi sono ritrovata molto scettica.
La voce narrante è quella di Kathy, una dei tre protagonisti insieme a Ruth e Tommy, che è "l'assistente" dei "donatori". E qui cominciano i problemi, perchè fin dalla prima pagina vengono usati questi termini, di cui però il lettore non sa nulla (e di cui, purtroppo, io non vi parlerò per evitare spoiler).
Nella prima parte del libro, che parla dell'infanzia e l'adolescenza dei ragazzi, non mi sono trovata per niente bene con la scrittura: confusionale e difficile da seguire; parte con un discorso per poi perdersi in un altro e in seguito tornare a quello precedente, come se proseguisse più per associazione di idee che secondo un criterio. 
Nella seconda parte vi è qualche episodio interessante, ma principalmente è come la prima: statica e monotona, anche ripetitiva talvolta; in cui essenzialmente non viene raccontato niente, se non il procedere piatto delle vite di questi ragazzi.
E voi direte, ma com'è possibile? E' un distopico!
Ed è proprio questo che mi ha lasciato l'amaro in bocca. I particolari più importanti, ovvero quelli che riguardano la loro vita e la loro drammatica condizione, vengono buttati in un dialogo o nel mezzo di una frase con leggerezza, come se fossero irrilevanti, mentre invece sono le fondamenta della storia. Con questi particolari che compaiono di tanto in tanto, il lettore può intuire ciò che Kathy sta realmente raccontando e inconsciamente comincia a costruire uno scenario. Questo può essere interpretato da un punto di vista positivo, ma io preferisco che in un distopico si parli chiaramente delle condizioni, che si capisca la proibizione o la drammaticità che caratterizza il tutto. In questo libro,  si ha la sensazione di capire le cose, ma non si è mai sicuri di intenderle nel verso giusto!
Nella terza e ultima parte, a poche pagine dalla fine, finalmente "si accende la luce" e le cose vengono messe in chiaro. La storia, a questo punto comincia a farsi interessante, perchè l'idea di base non è niente male, anzi! Mi è piaciuta molto, ma ho odiato il fatto che in circa 300 pagine non vi si accennasse quasi mai, ma si restasse sospesi in una specie di limbo, dove tutti i personaggi sembrano in stato di trance, a parte in casi eccezionali in cui letteralmente esplodono. Questo è un altro punto che non mi è piaciuto: i protagonisti sembrano assolutamente degli psicopatici. Tommy è un ragazzo calmo e sensibile, ma sciocco, e per questo motivo viene sottomesso ripetutamente a scherzi a seguito dei quali scatta come una molla mettendosi a urlare, inveire contro i compagni in modo furioso rovesciando tavoli e sedie; Kathy è la più diplomatica e pensatrice (infatti ci snerva con le sue teorie per tutto il libro), ma ogni tanto se ne esce con cattiverie nei confronti degli amici, che la fanno apparire un po' schizofrenica. Ruth, è l'unica dei tre che mi è piaciuta: è odiosa, lo ammetto, ma è quella più particolare caratterialmente. E' una doppiogiochista, calcolatrice e ha una doppia faccia notevole, perchè sa anche essere una leader carismatica e una buona ascoltatrice.
Sarebbe stato un buon libro ma, secondo i miei gusti, non è stato sviluppato in modo piacevole.


VOTO: 5

lunedì 28 gennaio 2013

L'incontro - Michela Murgia

L'incontro - Michela Murgia
Pagine: 102
Edizione: Einaudi


TRAMA
Maurizio ha dieci anni e non vede l'ora che comincino le vacanze. Per lui l'estate significa stare dai nonni a Crabas: lì ogni anno ritrova Franco e Giulio, fratelli di biglie, di ginocchia sbucciate e caccia alle libellule, e domina con loro un piccolo universo retto da legami che sembrano destinati a durare per sempre. Ma nell'estate del 1986 qualcosa di imprevedibile incrinerà la loro infanzia e mostrerà a tutti, adulti e ragazzi, quanto possa essere fragile il granito delle identità collettive. Basta un prete venuto da fuori a fondare una nuova parrocchia per portare una scintilla di fanatico antagonismo dove prima c'erano solo fratellanze. In quella crepa della comunità l'estraneo può assumere qualunque volto, persino i capelli rossi di un inseparabile compagno di giochi.


RECENSIONE
Ho dovuto leggere questo libro per la scuola, ma già dalla trama avevo intuito che non mi sarebbe piaciuto più di tanto. E in effetti, così è stato.
Oltre alla morale della storia che è una buona base, a mio parere non c'è nient'altro di ben costruito in questa storia.
Innanzitutto è molto sbrigativa. E' anche abbastanza noiosa all'inizio e alla fine, e non ho apprezzato nemmeno la scrittura, poco scorrevole. 
Racconta episodi presi singolarmente senza nessun legame con il resto (come quello dei topi) e il finale è un po' confusionale, dovevo rileggere la stessa riga parecchie volte prima di capire come stavano andando le cose. 
I personaggi sono ben pensati ma poco caratterizzati, secondo me avrebbe potuto soffermarsi di più su di loro. 
Un libro che non mi ha lasciato niente. 


VOTO: 5

sabato 26 gennaio 2013

Storia catastrofica di te e di me - Jess Rothenberg

Storia catastrofica di te e di me - Jess Rothenberg
Pagine: 334
Edizione: Einaudi
Titolo originale: The catastrophic history of you and me


TRAMA
Brie muore all'improvviso. A sedici anni. Col cuore, letteralmente, spezzato in due.
Nell'istante esatto in cui si sente dire da Jacob che non la ama più.
Ma questo è solo l'inizio della storia. Dal suo punto di osservazione in Paradiso Brie finalmente capisce un sacco di cose. Che il matrimonio dei suoi sta proprio andando a rotoli. Che il fratello Jack non riesce a perdonarle di essere morta.
Ricominciare da capo quando si ha il cuore a pezzi non è facile. Specie in un posto tutto nuovo. Ma una figura davvero celestiale comparirà presto ad accompagnare Brie nel suo paradisiaco futuro. 


RECENSIONE
Bellissimo titolo e copertina stupenda, ma ormai ho imparato che bisogna diffidare comunque, perciò ho iniziato questo libro con basse aspettative (anche se in realtà un po' mi incuriosiva). 
Mi sbagliavo.
Anche se mi fossi costruita aspettative altissime non sarebbero state deluse. 
Il libro è diviso in 6 parti: ceneri alle ceneri, la prima. E poi altre 5 che rappresentano le varie fasi di adattamento della protagonista alla sua strana situazione: negazione, rabbia, patteggiamento, tristezza, accettazione.
I nomi dei capitoli sono titoli di canzoni, cosa molto originale che mi è piaciuta un sacco, perchè ogni volta che ne iniziavo uno nuovo andavo su youtube ad ascoltare la colonna sonora per la mia lettura.
E' un libro molto particolare poichè tratta tematiche come l'amore e la morte senza mai risultare crudo o pesante ma anche senza scadere nel banale o l'esagerato, seppur l'atmosfera sia parecchio surreale. 
E' pieno di frasi molto belle che, anche se semplici, riescono a rappresentare al cento per cento le situazioni più comuni dell'adolescenza e ti sembra che parlino di te, ti ci rivedi, ti ritrovi a dire "ma parlano di me? è proprio vero." Le classiche frasi che scriveresti all'infinito sul diario, da usare quando non sai come esprimere a parole le cose che stai provando. Forse in certi punti la narrazione è un po' troppo affrettata, sbrigativa o veloce ma in ogni caso l'ho trovato scritto in modo semplice e abbastanza scorrevole. 
I personaggi sono molto ben definiti e particolari. Il mio preferito è Patrick, originale ed estremamente simpatico con le sue battutine per rimorchiare. 
Un libro che vale la pena di leggere, soprattutto nel periodo dell'adolescenza, perchè la sua storia un po' triste ma fuori dal comune e soprattutto i personaggi con le loro tristi e commoventi avventure, ti restano dentro. 

VOTO: 9

lunedì 31 dicembre 2012

Un infinito numero - Sebastiano Vassalli

Un infinito numero - Sebastiano Vassalli
Pagine: 254
Edizione: Einaudi


TRAMA
Perché gli Etruschi hanno realizzato una civiltà importantissima, ma non hanno lasciato alcuna traccia letteraria? Perché, pur possedendo un alfabeto e conoscendo la scrittura, non hanno scritto quasi nulla? A contatto con le ultime divinità di un mondo, quello etrusco, in apparente disfacimento, Mecenate, Virgilio e il suo segretario Timodemo intraprendono un viaggio nell'antica Etruria, dove, oltre ad alcuni segreti sulle vere origini di Roma e del mondo, scopriranno che cos'è il tempo e perché scrivere significa morire. Tornati a Roma, i tre finiscono per dividersi. Mecenate cadrà in disgrazia, Virgilio scriverà ma poi cercherà di distruggere l'Eneide. Solo Timodemo continuerà il suo viaggio nel tempo, arrivando, con il suo carico di saggezza e di verità, alle soglie del Duemila.


RECENSIONE
Ero molto titubante quando la prof. di italiano ci ha assegnato questo libro per le vacanze: avevo già provato a leggere La Chimera dello stesso autore e l'avevo lasciato a metà a causa delle lunghe e noiose descrizioni che mi facevano perdere il filo della storia;
inoltre, questo è un romanzo storico e, io e la storia, non siamo mai andate tanto d'accordo. Invece, mi ha colta di sorpresa.
Prologo ed epilogo sono l'incontro dell'autore con Timodemo, e tutti i racconti che stanno in mezzo sono raccontati in prima persona da quest'ultimo, schiavo di Virgilio.
Non ci sono infinite descrizioni o resoconti di guerre, o date e avvenimenti storici a dismisura; è tutto raccontato come in una fiaba: boschi, paesaggi quasi magici e templi. Parla di antiche leggende, di dei e credenze di culture a noi sconosciute, che io trovo sempre molto interessanti, ma anche di amori, sesso e amicizia, argomenti che non ti aspetteresti di trovare in un romanzo di questo tipo.
I capitoli sono molto brevi, 4 pagine al massimo, e quindi la lettura è abbastanza veloce. Quello che più mi è piaciuto è "I Rasna" in cui si racconta dello sterminio avvenuto da parte delle truppe di Enea, che Timodemo rivive attraverso un viaggio nel passato. 
In queste pagine, ci viene raccontata una realtà storica diversa da quella che impariamo sui banchi di scuola e ho adorato il fatto che fosse tutto raccontato in prima persona e dai diversi punti di vista delle vittime e dai carnefici della strage.
L'unico capitolo un po' noioso e statico è l'ultimo che, però, si riscatta con un finale ben "incastrato" e adatto. 
Una buona lettura per giovani e adulti, per chi ama la storia ma anche per chi, come me, non si sarebbe mai aspettato di appassionarsi ad un romanzo del genere.


VOTO: 7/8

domenica 18 novembre 2012

Mare al mattino - Margaret Mazzantini

Mare al mattino - Margaret Mazzantini
Pagine: 123

Edizione: Einaudi

TRAMA
Farid e Jamila fuggono da una guerra che corre più veloce di loro. 
Angelina insegna a Vito che ogni patria può essere terra di tempesta, lei che è stata araba fino a undici anni.
Sono due figli, due madri, due mondi.
A guardarlo dalla riva, il mare che li divide è un tappeto volante, oppure una lastra di cristallo che si richiude sopra le cose. Ma sulla terra resta l'impronta di ogni passaggio, partenza o ritorno. Un romanzo di promesse e di abbandoni, forte e luminoso come una favola.


RECENSIONE
Conoscevo da molto tempo questo libro ma non avevo mai preso in considerazione l'idea di leggerlo, fino a che non mi è stato assegnato per la scuola.
Le mie compagne mi avevano avvisato che a loro non stava piacendo, quindi ero un po' titubante, ma quando mi sono ritrovata a leggere l'ultima pagina dopo solo un pomeriggio mi sono dovuta ricredere.
La storia principale a mio parere è quella di Angelina e Vito, più che degli altri due protagonisti, ed è anche quella che mi è piaciuta di più.
Tratta un tema che ci ha toccati tutti ma su cui io personalmente non sapevo molto perciò questo libro mi ha aiutato ad approfondire le mie conoscenze e a vedere le cose da un diverso punto di vista. 
Lo consiglio a chi ha bisogno di aprire la mente, perchè penso sia questo l'insegnamento che l'autrice vuole darci.
I periodi sono molto brevi; i punti frequenti, quindi la lettura è parecchio scorrevole, forse, ecco, un po' troppo veloce ma comunque intenso.


VOTO: 7,5