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martedì 26 agosto 2014

La fattoria degli animali - George Orwell

La fattoria degli animali- George Orwell
Pagine: 140
Edizione: Mondadori
Titolo originale: Animal farm


TRAMA                    
Gli animali della fattoria Manor decidono di ribellarsi al padrone e di instaurare una loro democrazia. I maiali Napoleon e Palla di Neve capeggiano la rivoluzione che però ben presto degenera. Infatti Napoleon, dopo aver bandito Palla di Neve, introduce una nuova costituzione: "Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri". La dittatura e la repressione fanno riappacificare gli animali con gli uomini che ormai non appaiono più agli ex-rivoluzionari molto diversi da loro.


RECENSIONE                   
Posso finalmente dire di aver letto il famoso Animal farm, un altro classico che si aggiunge alla collezione. 
Si tratta di un sottile libricino di solo 140 pagine, ma come dice il detto "nella botte piccola sta il vino buono" e in poco spazio vengono trattati dei temi importanti. 
Se 1984 è un distopico, quindi la storia di un mondo irreale e frutto della mente dello scrittore, quella di questo libro è una situazione estremamente realistica in cui solo i personaggi sono surreali. Si tratta, appunto, di animali parlanti che agiscono come uomini. 
Dopo averlo finito mi sono interrogata per un po' di tempo su quale possa essere il motivo che ha spinto Orwell a fare questa stramba scelta.
Un motivo potrebbe essere il voler affrontare il tema della natura che si ribella contro le continue pressioni dell'uomo, perchè si tratta pur sempre di un argomento molto sentito e ricorrente, soprattutto nella filosofia, che si estende dalle catastrofi naturali fino a toccare il mondo animale. Un'altra ragione che penso si addica di più ai classici toni di denuncia dell'autore, potrebbe essere l'uso della bestia come allegoria satirica per paragonarla all'uomo, anzi, per rendere quest'ultimo addirittura più debole e succube.
La situazione dalla parvenza comica creata nel principio si rivela celatamente spaventosa e preoccupante. L'atmosfera di rivoluzione e di desiderio di sovvertire l'ordine delle cose si trasforma nel corso delle pagine nell'analisi di una dittatura che si nutre dell'ignoranza del popolo. In questa situazione a cui veniamo messi a fronte ci sono molti punti in comune con 1984, tra cui in maniera molto rilevante il controllo dei mezzi di comunicazione e informazione pubblica. In questo caso, è uno dei maiali al seguito del capo Napoleon a fare da portavoce, unico mezzo di accesso alle notizie che, prima di essere divulgate, vengono rigorosamente plasmate e alterate. 
Il resto degli animali è ipnotizzata e inerme sotto la coltre di bugie e persuasione esagerata a cui vengono sottoposti e anche ciò che davano per certo, come per esempio eventi vissuti personalmente nel passato, risultano come avvolti nella foschia e tutti cominciano a convincersi di essere in errore, tutte le certezze crollano.
E' stato veramente inquietante seguire questo processo: è un vero e proprio lavaggio del cervello, una violenza psicologica che risulta essere molto peggio di quella fisica, che emerge solo in seguito attraverso l'eliminazione di oppositori e dissidenti.
Il finale è un'immagine agghiacciante, la figura antropomorfa decisamente simbolica di un maiale-uomo o uomo-maiale, ormai indistinguibili, che rappresentano chiaramente un potere poco dignitoso e vorace che punta solo al bene per sè, agli agi e al lusso. 
Penso che questo breve romanzo possa essere l'emblema del libro classico per eccellenza: i must della letteratura hanno la qualità di durare nel tempo e risultare sempre attuali.. La fattoria degli animali, pubblicato negli anni '40, risulta molto più recente di quel che è; scrive di una realtà
che, purtroppo, persiste negli anni e finisce per ripresentarsi sempre.
La scrittura è semplice e scorrevole, senza eccessivi elementi forbiti di decoro, il ritmo è scorrevole e la lettura riesce a risultare leggere e "indolore" anche se i contenuti sono molto forti.
Un libro che non ruba molto tempo, ma mette in moto il cervello. Penso che in una libreria con la L maiuscola non possa mancare.


VOTO: 7/8

lunedì 25 agosto 2014

Donne - Charles Bukowski

Donne - Charles Bukowski
Pagine: 304
Edizione: Guanda
Titolo originale: Women


TRAMA                    
Fin dall'inizio, e per tutte le sue trecento pagine, il romanzo è la confessione esplicita, quasi ostentata, di una passione stregante: le donne per Bukowski sono un'attrazione costante, un bisogno che non conosce pause e che non si arresta neppure di fronte alle situazioni più disagevoli, o riprovevoli, o disgustose.
In questo, che è il suo romanzo più esplicitamente erotico, Bukowski racconta con strepitosa immediatezza le sue - vere o immaginarie - avventure d'amore. Storie tumultuose, incontri sguaiati e grotteschi, memorabili o miserabili prodezze, dialoghi enormemente e quasi commoventemente sboccati, sullo sfondo di un'esistenza randagia, segnata da maratone alcoliche, gravata dalla continua e assillante ricerca di denaro, vissuta sempre e rigorosamente on the road.


RECENSIONE                    
Di Bukowski avevo già letto Compagno di sbronze e Factotum, ma nessuno dei due mi aveva entusiasmato particolarmente, nonostante le mie altissime aspettative. Il primo, essendo un'antologia, era ricco di alti e bassi: alcuni mi piacevano tantissimo ed erano assolutamente geniali, altri erano inconcludenti,  ma è normale che tra molti racconti ci siano vari livelli di gradimento. Anche il secondo, però, pur essendo un romanzo lineare mi era sembrato un po' piatto e poco originale. 
Nonostante questo, sapevo che Bukowski aveva un grande potenziale ed ero decisa a non arrendermi. Ho fatto bene.
Donne è, di quelle che ho letto, la sua opera migliore.
Innanzitutto è più lungo degli altri, quindi più approfondito. Ma ciò che lo rende speciale è una caratteristica abbastanza stramba, che poteva trovare rifugio solo tra le pagine di uno scrittore come Bukowski: è estremamente vario e allo stesso tempo monotono; variabile e sempre uguale.
Tutta la storia è, semplicemente, un circolo vizioso che si ripete all'infinito, uno schema sempre uguale formato da protagoniste diverse. Una sola cosa hanno tutte in comune: sono donne.
In un modo o nell'altro Henry Chinaski, l'alter ego dell'autore, ne viene a conoscenza. Dal vivo, perchè presenti nel pubblico ai suoi deliranti reading, attraverso lettere, o amici, conosce le donne. 
Sempre più giovani di lui, sempre un po' pazze, sempre strane e fuori dal normale, sempre bellissime. 
Vi è un contrasto molto forte tra le emozioni che esse suscitano nel protagonista e il modo in cui esse vengono esternate. Vengono trattate come oggetti sessuali di poco conto, passatempi piacevoli e facilmente sostituibili, ma questa attitudine non è suscitata dal disprezzo, anzi: quella di Chinaski è un'ossessione, una dipendenza, una droga di cui non può far a meno. Un vizio a cui è impossibile rinunciare, che si aggiunge all'alcol e alle scommesse sui cavalli.
Ama le donne, le trova belle e magiche nella loro pazzia. Infatti, nelle descrizioni, non vengono quasi mai messi in evidenza i difetti fisici e se vengono nominati, poco dopo si ritrovano sminuiti o oscurati da un pregio. Sembra che niente possa fermarlo, che accetti tutto, rendendo la cerchia dei personaggi femminili estremamente ampia e molteplice. 
La narrazione è un'approfondita analisi dell'animo e dell'esteriorità femminile, tanti corpi e tanti caratteri esposti in vetrina a comporre un mosaico affascinante e spaventoso. Fedeltà e frivolezza, pudicizia e volgarità.
Donne perse e dipendenti dalla droga, donne tristi e con il cuore infranto, donne giovani e spregiudicate., compongono un tornado di dialoghi anormali, situazioni irrazionali e soprattutto sesso. La lussuria che sembra essenziale e che poi, in un verso poetico e al contempo volgare, viene svalutata dai baci. I baci che sono "più intimi di una scopata".  
Anche solo da questa frase si comprende la vera essenza di Chinaski, l'inconsapevole bontà che compensa il resto. Piccoli sprazzi di questo genere emergono spesso in mezzo all'intrico di ubriacature, carnalità e follia. Talvolta il ritmo frenetico della vita sconsiderata che conduce sembra placarsi, come la corrente di un fiume, e per alcune righe si possono leggere pensieri estremamente lucidi e profondi, cinici e pessimisti. 
Una delle parti che mi è piaciuta di più ne è costellata in abbondanza, ed è quella che riguarda Dee Dee, una delle tante fiamme passeggere del libro. Durante il suo breve rapporto con la ragazza, l'uomo apre sè stesso al lettore, liberando un peso che gli grava sul petto. Gli manca un amore, ne percepisce fortemente l'assenza e disprezza questa debolezza che spesso ci pervade in una situazione simile.
Il finale è proprio come mi aspettavo, aperto e vago, ma premonitore di cambiamento e anche un po' di ottimismo.
La cronaca di una vita all'insegna del vizio raccontata in un misto di delirio, razionalità e volgarità poetica. Penso che con questo libro Bukowski dia il massimo di sè e ci doni tutto sè stesso. Per ora, il migliore che abbia letto.


VOTO: 8,5

Divergent - Veronica Roth

Divergent - Veronica Roth
Pagine: 480
Edizione: De Agostini
Titolo originale: Divergent


TRAMA                    
Dopo la firma della Grande Pace, Chicago è suddivisa in cinque fazioni consacrate ognuna a un valore: la sapienza per gli Eruditi, il coraggio per gli Intrepidi, l'amicizia per i Pacifici, l'altruismo per gli Abneganti e l'onestà per i Candidi. 
Beatrice deve scegliere a quale unirsi, con il rischio di rinunciare alla propria famiglia. Prendere una decisione non è facile e il test che dovrebbe indirizzarla verso l'unica strada a lei adatta, escludendo tutte le altre, si rivela inconcludente: in lei non c'è un solo tratto dominante ma addirittura tre! Beatrice è una Divergente, e il suo segreto - se reso pubblico - le costerebbe la vita. 
Non sopportando più le rigide regole degli Abneganti, la ragazza sceglie gli Intrepidi: l'addestramento però si rivela duro e violento, e i posti disponibili per entrare davvero a far parte della nuova fazione bastano solo per la metà dei candidati. Come se non bastasse, Quattro, il suo tenebroso e protettivo istruttore, inizia ad avere dei sospetti sulla sua Divergenza....


RECENSIONE                    
Dopo aver finito Candido di Voltaire, un'altra lettura scolastica, avevo voglia di leggere qualcosa per puro piacere personale. Ero a conoscenza della saga di Divergent e sapevo anche dell'uscita del film, ma non mi sarei aspettata di essere assalita da questa strana e forte voglia di leggerlo che mi ha preso all'improvviso. Lasciandomi coinvolgere, l'ho cominciato e ne sono rimasta estremamente soddisfatta, perchè il pomeriggio seguente l'avevo già finito. Non me ne sono nemmeno accorta, ho impiegato quasi di più a guardare il film.
La scrittura, pur essendo semplice e non molto ricercata, è estremamente fluida e scorrevole e inoltre il distopico è uno dei miei generi preferiti. 
Avevo sentito dire in alcune recensioni negative che Divergent è considerato qualcosa di già sentito, una copia di Hunger Games, ma io non ho trovato assolutamente nessuna somiglianza, se non la divisione della città in diverse fazioni. Se però nella saga di HG i distretti rappresentavano le ricchezze possedute, in questo l'idea è,a mio parere, più originale e innovativa: le persone sono raggruppate per qualità. 
Candidi, pacifisti, intrepidi, eruditi e abneganti. Sincerità, pace, coraggio, sapienza e altruismo.
Lo scopo di questa divisione è, ovviamente, quello di un controllo specifico su ogni fazione. Ognuna ha un ruolo da svolgere all'interno della società e regole da seguire. Ma come in tutti i distopici, l'eccezione non può mancare. Si tratta dei Divergenti, coloro che posseggono più di un tratto e non sentono di appartenere ad un solo gruppo ristretto. Sono considerati una minaccia, perchè su di loro gli insegnamenti non attutiscono e devono mantenere la segretezza più totale sulla loro personalità, o rischierebbero la vita.
L'intreccio è inconsueto, nuovo e ricco di dettagli che mettono in luce un'accuratezza studiata e pensata per non lasciare nulla al caso. L'iniziazione, i vari tipi di simulazione e le prove da superare. La cosa che ho trovato più interessante, però, è stato sicuramente il percorso della paura in cui ognuno affronta i suoi timori più intimi in un mondo astratto e illusorio creato dalla mente. 
In questo intrico avventuroso si muovono numerosi personaggi che, come la trama, non sono abbandonati a sè stessi. Infatti, a parte alcune comparse di poco conto che vengono nominate solo un paio di volte, anche i personaggi secondari sono caratterizzati molto bene. Si deve attribuire all'autrice il merito di un'efficace capacità descrittiva, perchè in poco tempo riesce a far capire il modo in cui si relazionano l'uno con l'altro, le dinamiche, le loro attitudini e, soprattutto, riescono a farsi amare o odiare. Io, almeno, percepivo in me lo stesso desiderio di vendetta della protagonista, Beatrice, che è una delle mie preferite, insieme a Quattro.
Ci si può innamorare di un fictional character? Perchè se la risposta è sì, ho perso davvero la testa. Quattro è l'istruttore e controllore degli iniziati Intrepidi. E' misterioso, particolarmente acido e distaccato, severo e rigoroso, ma pian piano cominciamo a conoscerlo meglio e si apre in modo specifico solo a Tris (Beatrice), rivelandole i meandri più nascosti di sè. Mi è piaciuto il suo parlare ed esprimersi in modo celato, senza dire esplicitamente mai nulla di troppo audace, e il suo modo di dimostrare i suoi sentimenti e la sua ammirazione solo a fatti, agendo. 
Non è, però, solo la classica figura dalla scorza dura e col miele dentro, perchè nel corso della storia, emergono anche alcuni cenni accattivanti riguardo al suo passato che lo rendono estremamente interessante. Come con Quattro, anche per quanto riguarda Tris ho quasi sempre approvato le sue scelte e il suo modo di affrontare le situazioni, soprattutto la testardaggine e il desiderio di solitudine che ho trovato essere comportamenti molto umani e realistici. Una cosa che ho notato, infatti, è stato il modo in cui Veronica Roth non crei personaggi troppo surreali, troppo forti o indistruttibili, ma gli attribuisca difetti, anche fisici, e gli faccia compiere errori rendendoli più vicini al lettore stesso.
Sono, infatti, messi in evidenza i suoi limiti, ma allo stesso tempo la sua determinazione a superarli; pur sapendo di non essere la migliore non è nè sottomessa nè una spettatrice inerme come, talvolta, capita.
Per arricchire un po' il romanzo e renderlo più piacevole al pubblico adolescente, è inserita la componente dell'amore, che ho trovato azzeccata e ho approvato pienamente in tutto il suo andamento. Non risulta irritante, nè sdolcinata e non sovrasta il resto della trama, in modo che l'avventura e l'azione restino comunque intatti e inalterati.
E' una storia bella e avvincente, e per risultare gradevole ci si potrebbe anche fermare qui, sulla superficie dei fatti, ma volendo scavare a fondo nei temi e nei messaggi che manda, ho trovato che il significato di un libro simile sia anche abbastanza profondo. 
Tutto, nel mondo raccontato, si fonda sui valori. Viene soprattutto sottolineata l'importanza del non essere dediti ad un unico scopo e ad un unico pregio ed è per questo che i Divergenti svolgono un ruolo così importante. Il fatto che ogni fazione abbia uno schema di vita così rigido e omologato, fa sì che si finisca per eccedere ed è dall'eccesso che nasce uno squilibrato desiderio di potere; dimostra che è sbagliato portare allo stremo quelle qualità che, se amalgamate nella giusta misura, permetterebbero una convivenza pacifica.
Un messaggio che ho trovato molto importante e utile anche nella vita reale.
Un romanzo molto ricco sotto tutti i punti di vista, con personaggi che non mi hanno lasciata indifferente. Coinvolgente e scorrevole, mi ha lasciata piena di entusiasmo, adrenalina e voglia di leggere il seguito al più presto.


VOTO: 9

mercoledì 20 agosto 2014

Candido - Voltaire

Candido o l'ottimismo - Voltaire
Pagine: 125
Edizione: Economica Feltrinelli
Titolo originale: Candide ou l'optimisme


TRAMA                    
Attraverso la parabola del povero Candido, un inguaribile ottimista, il narratore porta uno "sguardo rapido su tutti i secoli, tutti i paesi, e di conseguenza, su tutte le sciocchezze di questo piccolo globo." 
Candido consente a Voltaire di perfezionare il nuovo genere letterario da lui creato, il conte philosophique. Le convulse e mirabolanti disavventure del protagonista offrono all'autore l'opportunità di dimostrare la vanità dell'ottimismo razionalista leibniziano, che vedeva realizzato nell'universo il migliore dei mondi possibili, nonchè di sviluppare una straordinario lezione di sopravvivenza alle catastrofi della natura e della storia.


RECENSIONE                     
Devo ammettere che per scrivere una recensione di un libro come questo avrei forse bisogno, prima, di una lezione su Voltaire da parte del primo prof di filosofia, ma visto che dovrei aspettare più di un mese, scriverò dall'umile punto di vista di semplice lettrice.
Quella di Candido è stata una lettura veloce e breve, ma comunque attenta, perchè immaginavo che sotto le avventure del protagonista si nascondessero celati riferimenti a dottrine filosofiche importanti e così è.
Il tema principale è, sicuramente, la critica all'ottimismo. 
Esso viene definito come "il delirio di sostenere che tutto va bene quando tutto va male". Trascritto nei termini di Voltaire, l'ottimista prende le sembianze di un illuso, un ingenuo, cieco davanti al mondo che crolla. Emblema di questo pensiero è Pangloss, il precettore e educatore di Candido, sostenitore della teoria del tedesco Leibniz secondo cui "tutto è per il meglio" e ci sarebbe, nel mondo, un ambiente perfetto, immacolato, una specie di paradiso terrestre. 
Tutto ciò è, però, chiaramente impensabile una volta che ci si trova davanti a palesi ingiustizie del mondo, così viene introdotto un altro tema: quello del fatalismo. In questa storia, infatti, un ruolo molto importante è giocato dal destino che con il suo disegno di coincidenze assurde crea nei personaggi una sorta di rassegnazione che li porta a mantenere il loro ottimismo, giustificandosi con il pensiero che se qualcosa avviene, è perchè così deve essere e ciò è giusto.
In realtà, a partire da una svolta nella narrazione e dal'introduzione del personaggio dalla vecchia e saggia curatrice, si percepisce sempre di più un'atmosfera di sventura e pessimismo che avvolge tutti. Le disgrazie avvengono a ruota libera, succedendosi senza darsi freno e, come se non bastasse, entrano in scena anche le catastrofi naturali. Tra i vari riferimenti storici, infatti, uno dei primi è quello al terremoto di Lisbona del 1755, che distrusse la città e causò molte vittime. Si dice che, proprio questo tragico avvenimento, sia stato la causa scatenante per la stesura del romanzo, in quanto un altro dei temi trattati è il male in tutte le sue forme. Il male della natura che si ribella contro l'uomo, dell'uomo contro l'uomo, un tutti contro tutto confuso e caotico, costellato di soldati, guerrieri, ladri e farabutti. 
A causa di questa particolare predisposizione verso simili argomenti, già nella prefazione l'autore ci viene presentato con una frase a effetto: "Pare sempre, che Voltaire creda in Dio. In realtà, egli non ha mai creduto ad altri che al diavolo." Non ha peli sulla lingua e non utilizza di certo eufemismi quando si tratta di descrivere panorami di corpi straziati o fornire qualche sadico e macabro dettaglio.
Tutta questa dottrina è celata sotto le vicende che capitano al protagonista e alla sua cerchia di compagni. L'intreccio è grottesco e surreale, la narrazione è spesso fortemente sarcastica e satirica: "il barone era uno dei più potenti signori della Westfalia, poichè il suo castello aveva porta e finestre." 
Tutta l'esagerazione di fatti e personaggi portati all'eccesso è narrata in brevi capitoli che hanno, per titolo, come un breve riassunto. Sembra quasi di sentire l'ironica e goliardica voce di un narratore esterno che, beffardo, ci introduce ai fatti di cui Candido è protagonista. Il suo nome è tutto un programma, perchè oltre a rispecchiare il suo aspetto puro e immacolato e il suo temperamento dolce, rappresenta anche la sua grande ingenuità, il suo candore appunto, l'innocenza che lo fa sembrare un bimbo. Si porta le sventure addosso, proprio a causa del suo agire senza malizia e sospetto nel prossimo che, spesso, se ne approfitta.
Sembra di leggere delle comiche, delle commediole divertenti alla Charlie Chaplin, che si districano tra prigionie, violenze, ma anche viaggi e banchetti a cui partecipano eminenti figure intente a filosofeggiare. In queste occasioni, Voltaire coglie lo spunto per inserire nei dialoghi forti critiche ai suoi detrattori, giudicando le loro opere scadenti e facendoli ripudiare dalla bocca dei personaggi stessi.
Insomma, mi aspettavo un saggio filosofico pesante e indistricabile, che in realtà si è rivelato un romanzetto breve e dal ritmo rapido, facile da leggere e altrettanto da interpretare. 
La storia è totalmente pazza e incredibile, ma penso che offra molti spunti di riflessione su cui riflettere.
Lo consiglio soprattutto a chiunque sia interessato, o studi, la filosofia.


VOTO: 7

lunedì 18 agosto 2014

Lolita - Vladimir Nabokov

Lolita - Vladimir Nabokov
Pagine: 383
Edizone: Adelphi
Titolo originale: Lolita


TRAMA                    
Il professore Humbert Humbert, voce narrante del racconto, annoiato insegnante quarantenne di letteratura francese, per circostanza fortuite e inaspettate fa la conoscenza di Dolores Haze, dodicenne ribelle e maliziosamente spregiudicata che gli richiama in mente Annabelle, il suo primo amore da tredicenne e, nonostante la differenza d'età, egli perde completamente la testa per la ninfetta...


RECENSIONE                    
Lolita, un libro rivoluzionario e sconvolgente, censurato e criticato, un romanzo talmente rilevante nella linea del tempo della letteratura, da creare un nuovo termine colloquiale da far rientrare nei dizionari della conversazione. Lolita è diventato il soprannome per ragazzine avvenenti, o attirate da uomini adulti, un po' maliziose e provocanti; un termine che ha ispirato addirittura una sottocultura e uno stile d'abbigliamento giapponese. 
Dalla prima lettura, rientrava nella top list dei miei libri preferiti, ma avevo due anni in meno, così ho pensato che sarebbe stato il caso di dargli una seconda revisione, così avrei potuto capire qualcosa di più. 
Così è stato: molte cose sono celate, nascoste sotto allusioni poetiche e metafore. E' un linguaggio furbo, quello di Nabokov, che rivela solo ciò che vuole rivelare; sembra che i dettagli che vuole trasmettere stiano giocando a nascondino con noi e solo con occhio attento possiamo scovarli. 
La scrittura è quasi lirica, risonante di sentimento, oltre che di significati. 
"Questa, dunque, è la mia storia. L'ho riletta. C'è rimasto attaccato qualche brandello di midollo, e sangue, e mosche bellissime d'un verde brillante. A questa o quella delle sue svolte sento che il mio essere vischioso mi sfugge, scivola in acque troppo profonde e troppo oscure, perchè io osi sondarle."
E' Humbert, il protagonista, a parlare direttamente col lettore. Ci concede, con questo racconto, sprazzi della propria intimità, mette sotto i riflettori le sue viscere e i suoi istinti più bestiali, ci dona tutto sè stesso e si rivolge a noi, come se lui fosse sul palco e noi nella platea. Talvolta, conversa e dialoga con i "signori e signore della giuria", scusandosi per i suoi eccessi e i suoi comportamenti impulsivi e passionali, poichè in fondo, bisogna ammettere che la relazione racchiusa in questo libro è pur sempre considerata malata, morbosa e contro natura.
Tutto il tema dell'amore contenuto in queste quasi quattrocento pagine non si può, però, riassumere in solo tre parole, perchè è vasto e può essere esaminato da vari punti di vista.
Innanzitutto è unilaterale. Lolita, o Dolores, è soggetta inizialmente a una frivola e passeggera cotta da adolescente che basta a Humbert per essere completamente catturato e avvolto dalla tela del ragno. Se da una parte, infatti, vi è un amore fittizio e opportunista, dal lato opposto l'uomo ama con tutto sè stesso: ammaliato, pazzo, stregato quasi in maniera innaturale, agisce da persona totalmente incosciente e irrazionale, succube ai continui capricci della sua Ninfetta, ma anche cieco davanti al suo dolore.
Vi è poi la grande componente dell'amore carnale, del sesso, che viene messa sotto una luce parecchio negativa, perchè perde qualsiasi suo aspetto poetico e intenso, per diventare quasi un'abitudine e una routine, uno sporco mezzo con cui ottenere ciò che si vuole, una dipendenza a cui non si può rinunciare.
Oltre ad una narrazione impeccabile e ai temi che offre, anche l'intreccio è molto vario e accurato, che spinge a proseguire, soprattutto nella prima parte. Nella seconda, si nota un notevole cambiamento, perchè è quasi completamente costituita dai racconti di viaggio, stile diario di bordo, che Humbert e Lolita intraprendono, girovaghi tra staterelli dell'America e motel. E' anche la parte più angosciosa, per varie svolte che subisce la storia, e descrittiva per quanto riguarda i paesaggi e le varie ambientazioni che cambiano quasi ad ogni capitolo. Tutte le vicende sono guidate da un grande agente esterno, colui che dal narratore è stato soprannominato McFatum. Un altro tema è infatti quello del fatalismo e del destino a cui Humbert sembra aggrapparsi come ad un'ancora, per giustificare gli avvenimenti.
Infine, lo definirei talvolta disturbante, crudo, ma vivo. 
Mi mette in moto qualcosa dentro, quando lo leggo, e più volte mi sono ritrovata con la pelle d'oca per quanto forti erano i messaggi che percepivo e quanto grande la bellezza di certe parole.
"Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un breve viaggio di tre passi sul palato per andare a bussare, al terzo, contro i denti. Lo-li-ta. Era Lo, null'altro che Lo, al mattino, dritta nel suo metro e cinquantotto con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma nelle mie braccia fu sempre Lolita."
Un libro che inizia così, non può che essere un capolavoro.


VOTO: 10

domenica 17 agosto 2014

Siddharta - Hermann Hesse

Siddharta - Hermann Hesse
Pagine: 169
Edizione: Adelphi
Titolo originale: Siddharta


TRAMA                     
Chi è Siddharta? E' uno che cerca, e cerca soprattutto di vivere intera la propria vita. Passa di esperienza in esperienza, dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica alla vita degli affari, e non si ferma presso nessun maestro, non considera definitiva nessuna acquisizione, perchè ciò che va cercato è il tutto, il misterioso tutto che si veste di mille volti cangianti. E alla fine quel tutto, la ruota delle apparenze, rifluirà dietro il perfetto sorriso di Siddharta, che ripete il "costante, benigno, forse schernevole sorriso di Gotama, il Buddha, quale egli stesso aveva visto centinaia di volte con venerazione".


RECENSIONE                     
Siddharta mi è stato consigliato più e più volte da chiunque l'avesse letto. Lo facevano passare per un libro bellissimo, ma sono sempre rimasta scettica e non mi sono mai decisa a leggerlo, perchè di solito evito storie a sfondo religioso. Poi, quest'estate, vedendolo consigliato nelle letture estive per la scuola e notando che si trattava di poche pagine ho deciso che avrei potuto provarci e ne sono rimasta incantata.
Innanzitutto bisogna smentire l'idea che si tratti di un romanzo esclusivamente religioso, perchè in realtà le tematiche sono molte. In primis, quella del viaggio e della ricerca
Non si tratta di un percorso che copre vaste distanze, nè di un pellegrinaggio o di un'avventura, ma della storia di Siddharta, figlio di un Brahmino, che abbandona le sue origini e si mette in cammino per trovare la sua condizione di Nirvana, di pace interiore e completezza. Nel luogo in cui abita, Siddharta è considerato un piccolo prodigio, che si distingue dagli altri per la sua diligenza e meticolosità, per l'incredibile capacità di apprendimento e lo sviluppo di abilità che gli altri sanno svolgere solo mediocremente.
Ma la sua meta non è quella di ricevere le lodi di un piccolo paese, è destinato a qualcosa di più grande e, così, ripudiando ogni dottrina e insegnamento, si libera dai vincoli per seguire solo la sua voce interiore.
Nei molti insegnamenti che questo libro fornisce, penso che questo sia il più rilevante e quello a cui do maggior importanza. Sembra che l'autore voglia dirci di fidarci solo di noi stessi, di fare ciò che ci riproponiamo, di raggiungere i nostri scopi senza lasciarci condizionare dagli altri. Ci dice di essere come "stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c'è vento che li tocchi, hanno in sè stessi la loro legge e il loro cammino."
In realtà, tutto il libro è costellato di dialoghi, riflessioni e messaggi molto profondi che sarebbero da incorniciare in camera da letto e rileggere ogni volta che si aprono gli occhi al mattino. Parole degne di un saggio, che riflettono grande sapienza e conoscenza del mondo e che permettono di vedere le cose da una diversa angolazione.

"E così è di Siddharta, quando ha una meta, un proposito. Siddharta non fa nulla. Siddharta pensa, aspetta, digiuna, ma passa attraverso le cose del mondo come la pietra attraverso l'acqua, senza far nulla, senza agitarsi: viene scagliato, egli si lascia cadere. La sua meta lo tira a sè, poichè egli non conserva nulla nell'anima propria, che potrebbe contrastare questa meta."

Questa frase sembra dirci di lasciarsi andare, lasciarsi trasportare dalla corrente e raggiungere la propria meta lasciandosi cullare e sorreggere da acque tranquille. La ricerca ossessiva, la fame di conoscere viene messa, infatti, sotto una luce negativa, perchè, come se avessimo un paraocchi da cui osserviamo unicamente il nostro obiettivo, senza accorgercene sacrifichiamo noi stessi e tralasciamo ciò che ci sta intorno.
Oltre all'immensa saggezza che trapela da ogni pagina del libro, l'ho trovato molto interessante anche per quanto riguarda le varie filosofie di vita che analizza, come quella dell'ascetismo che mi affascina da quando ho letto Nelle terre estreme, del buddhismo di cui ho scoperto molte cose interessanti che non conoscevo, ma anche i vizi e i peccati della vita mondana, a contatto con i dadi, gli affari e il sesso. In aggiunta all'amore per il prossimo e per la natura che ci circonda, è rilevante anche la tematica dell'amore carnale, di cui è emblema Kamala, un personaggio simbolico ed enigmatico che mi è piaciuto molto, una bellissima cortigiana dai capelli neri e tratti orientali, talmente affascinante e ipnotica da convertire chiunque alla sua "religione". 
L'unica pecca del libro è la brevità delle descrizioni sia fisiche che di ambientazione,mi sarebbe piaciuto poter immaginare con chiarezza e dare un volto ai pochi personaggi della storia, ma essendo composto di poche pagine, l'autore si concentra maggiormente su cose più importanti, anche se credo che brevi digressioni e qualche dettaglio in più, avrebbero potuto essere inseriti al posto di alcuni concetti che vengono ripetuti più volte.
Non è, però, un difetto degno di nota, perchè in generale l'intreccio è ben sviluppato e la narrazione
contiene anche un colpo di scena e altri elementi che compensano e  invogliano a proseguire.
Un viaggio alla ricerca della pace, della felicità e dello zen; il libro più saggio e istruttivo che io abbia mai letto e che mi ha stupito per quanta sapienza sia contenuta in un centinaio di pagine.


VOTO: 9,5

mercoledì 13 agosto 2014

La Metamorfosi - Franz Kafka

La metamorfosi - Franz Kafka
Pagine: 76
Edizione: Garzanti
Titolo originale: Die Verwandlung


TRAMA                    
La storia è nota: la "Metamorfosi" è l'incubo diventato realtà del timido commesso viaggiatore Gregor Samsa, il risveglio nel corpo di un insetto e il rifiuto da parte di tutti.


RECENSIONE                    
La storia della metamorfosi è conosciuta da tutti ed, essendo considerato un classico della letteratura tedesca, anche questo libro andava letto.
Pensavo che si trattasse di un romanzo pesante e inestricabile e sono stata sorpresa nel comprendere che, in realtà, si tratta di un racconto di un'ottantina di pagine dalla trama molto semplice e piatta. Tutto l'interessante del libro sta, infatti, nella grandissima allegoria rappresentata dall'uomo-insetto, per il resto si parla della vita quotidiana di Gregor dopo la trasformazione che, vivendo da recluso, non è particolarmente entusiasmante. 
Le ambientazioni sono descritte abbastanza approfonditamente, nonostante si tratti di un racconto breve in cui di solito i dettagli vengono tralasciati. Un primo flash ci viene dato sulla camera da letto del commerciante che, come il suo abitante, passa per diversi stadi di mutazione di mobilio e atmosfera. Le comodità e l'accoglienza vengono lentamente eliminate fino ad arrivare al vuoto più totale, e in seguito al caos frenetico di un ripostiglio dimenticato da tutti. Lentamente, poi, vediamo davanti ai nostri occhi anche tutte le altre stanze, osservate però dalla porta semiaperta dell'uscio dietro il quale l'insetto osserva e ascolta.
Una cosa estremamente interessante è il modo in cui l'autore riesce quasi a farci percepire esattamente tutte le sensazioni provate dal protagonista in quel corpo che non gli appartiene; descrive minuziosamente i meccanismi che lo muovono, come se avesse osservato per giorni e giorni uno scarafaggio enorme sotto una campana di vetro. La condizione che ci viene presentata non può che suscitare pena e compassione e trovo che, questo piccolo romanzo, sia triste proprio per questo, più che per gli avvenimenti: la piccola bestia è estremamente lurida e ripugnante e la famiglia, pur essendo a conoscenza che quell'insetto è in realtà il loro più stimato figlio, ammattisce alla sola sua vista.
Nella narrazione, mesi o comunque lunghi sprazzi di tempo, vengono talvolta saltati e riassunti in poche righe, così da rendere più evidenti le mutazioni apportate dal trascorrere del tempo. 
Prima della trasformazione, Gregor era l'unico lavoratore di casa, aveva quindi il compito di sorreggere sulle spalle tutta la famiglia e di garantirne il benessere. Repentinamente, questo ordine di cose viene sconvolto e l'uomo diventa un peso. Senza più sostentamento, sia la sorella che il padre si ritrovano a dover tirare le redini e, come illuminati da una nuova vitalità, riprendono entrambi a lavorare, uscendo dallo stato ozioso che li avvolgeva. Questo cambiamento mette la metamorfosi del giovane uomo sotto una luce positiva e si comincia a pensare che, così come nella sua vita precedente si sia sempre sacrificato per gli altri, anche ora sia stato scelto dal destino come "martire" per una giusta causa. 
Un'altra svolta si ha nelle relazioni con gli affetti che, dopo un iniziale interessamento forzato, cominciano ad
ignorarlo ed escluderlo completamente. Questo comportamento è ciò che l'allegoria vuole sottolineare: l'insetto, infatti, è un'immagine per rappresentare genericamente il "diverso". Si dimentica che, sotto la corazza dello scarafaggio sia celata una persona e la sua diversità diventa più importante della sua vera natura. 
Penso che questo sia proprio ciò che Franz Kafka abbia voluto rappresentare, e anche uno dei motivi per cui, seppur essendo carente di trama, questo racconto ha fatto scalpore e rivoluzionato la letteratura. 
Un piccolo ma significativo libricino che deve essere nella libreria di tutti e che, almeno una volta nella vita, merita di essere letto.


VOTO: 7

martedì 12 agosto 2014

Il cavaliere inesistente - Italo Calvino

Il cavaliere inesistente - Italo Calvino
Pagine: 126
Edizione: Mondadori


TRAMA                         
Agilulfo, paladino di Carlo Magno, è un cavaliere valoroso e nobile d'animo. Ha un unico difetto: non esiste. O meglio, il suo esistere è limitato all'armatura che indossa: lucida, bianca e vuota. Non può mangiare, nè dormire perchè, se si deconcentra anche solo per un attimo, cessa di essere. 
Sullo sfondo storico del racconto la guerra tra cristiani e infedeli.
Dietro la trama avvincente delle gesta eroicomiche dei personaggi, si nasconde la rappresentazione del mondo contemporaneo, nel quale la difficoltà di essere, l'unità perduta, il controllo delle illusioni e la fuga da sè stessi dominano la vita dell'uomo.


RECENSIONE                    
Dopo aver letto Il visconte dimezzato ero rimasta un po' delusa dalla semplicità della storia e dai pochi temi trattati, fatta eccezione del messaggio principale del libro, ma con Il cavaliere inesistente le mie aspettative di una trama più complessa sono state soddisfatte. Questo libro è, infatti, più completo sia per quanto riguarda l'intreccio che per altri elementi che fanno da arricchimento. L'unica analogia con il romanzo precedentemente citato è la grande cerchia di personaggi, ma qui, essendo più lungo il racconto, essi sono molto meglio caratterizzati e hanno anche più spazio per muoversi, incontrarsi e incastrare le loro vite con coincidenze e inconvenienti. 
A dirigere questi incontri è un agente esterno molto forte, il destino, che fa sì che avvenga tutto ciò che aveva prestabilito. Un aiutante del fato è la figura della narratrice che è particolarmente presente e significativa, a differenza che nella storia del Visconte, in cui era partecipe, ma non troppo rilevante. In questo caso, si tratta di una donna anziana che ha preso i voti e, chiusa nel suo convento, narra di vicende di cui sostiene di essere venuta a conoscenza tramite racconti dei visitatori. Si presenta solo dopo una trentina di pagine e, in seguito alla sua breve descrizione personale, ogni capitolo è anticipato da sue riflessioni sulla stesura del romanzo.
E' notevole e sorprendente come l'autore riesca, nel finale, a ricongiungere la sua figura esterna con la storia che racconta, ma più di così non posso dirvi, o farei spoiler.
La sua tecnica per raccontarci gli spostamenti repentini dei protagonisti e descriverci le ambientazioni, è quella di farci immaginare il foglio che stiamo leggendo come una piccola mappa in cui tante frecce colorate si muovono in varie direzioni. Questo dettaglio mi ha ricordato Harry Potter e i suoi giornali animati, in cui le notizie cambiano ogni volta che volti lo sguardo e le immagini si muovono per immortalare le scene più significative, o le espressioni del viso.
Per quanto riguarda i personaggi, essi sono i componenti delle schiere di Carlo Magno e principali protagonisti del poema L'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Lo sto studiando proprio ora, durante le vacanze, e leggere un piccolo romanzo che ne narra le vicende è stato piacevole, perchè è sembrato un allegato, un'aggiunta, un dono per farceli conoscere meglio. 
Vari temi sono affrontati da questa piccola opera. Uno è la fuga, elemento che accomuna tutti i personaggi: diretti dall'amore o dal desiderio di trovare le proprie origini, tutti sembrano sempre correre all'inseguimento di qualcuno, o di sè stessi. 
Il prevalente, però, è l'annullamento dell'essere e della personalità di cui Agilulfo e Gurdulù sono emblemi. Il parallelismo contrario tra i due è evidente: il primo non c'è, ma è come se esistesse lo stesso; l'altro c'è e non sa d'esserci. Agilulfo, protagonista di questa storia, è una semplice armatura vuota sempre impeccabile e, pur non essendoci, fa meglio di ogni altro soldato dell'esercito, perchè tutto ciò che lo riempe non è carne, ma forza di volontà. Mi è sembrata una bellissima immagine quella di un uomo sorretto
semplicemente da una meta da raggiungere, uno scopo da compiere, ma è notevole anche quella celata sotto le spoglie di Gurdulù che, rappresentato come "lo stupido del villaggio", a me è stato da subito simpatico, perchè dimostra di saper vivere senza nemmeno il bisogno di percepirsi, ma semplicemente fondendosi con ciò che lo circonda, che sia solo la natura o l'essenza intera dell'universo, diventando nella sua mente un'utensile, una pianta o un animale.
Infine, arriviamo al mio personaggio preferito, l'unica figura femminile rilevante nel racconto: Bradamante. Sembra il nome di una strega leggendaria, di una sibilla il cui solo nominarla fa tremare tutti, ma in realtà è una soldatessa. E' un po' la Mulan di Disney, Eowyn del Signore degli anelli; un'amazzone selvaggia, una combattente segreta, forte e ribelle. Un estremo femminismo e anche una grande consapevolezza di sè dirige ogni sua schermaglia e la fa apparire agli occhi di tutti gli uomini (e soprattutto di Rambaldo) come un'incantevole apparizione sfuggente, una piuma leggera ma determinata, impossibile da acchiappare.
In poche parole, rispetto al Visconte dimezzato ho notato un salto di qualità. 
Ho apprezzato moltissimo il linguaggio immaginifico e metaforico spesso utilizzato e penso che, in queste poche pagine, sia scritto celatamente molto più di quanto appare.


VOTO: 8,5

domenica 10 agosto 2014

Romeo e Giulietta - William Shakespeare

Romeo e Giulietta - William Shakespeare
Pagine: 247
Edizione: Mondadori
Titolo originale: Romeo and Juliet

TRAMA                    
Romeo e Giulietta intreccia numerosi elementi nella vicenda dei due innamorati "nati sotto contraria stella". Dalla "morta viva", che affascinò e ispirò i preromantici e i romantici, al drammatico scontro tra due generazioni  il dramma si arricchisce di temi la cui complessività va oltre la vicenda d'amore.Tuttavia è questa a fare di Romeo e Giulietta l'opera forse più celebre e più amata di Shakespeare. Nel contrasto fra la purezza, l'appassionata consapevolezza dell'amore e l'inesorabile concatenarsi delle circostanze funeste va cercata la grandezza del dramma, la chiave della sua autentica dimensione tragica, annunciata nel Prologo. Forse per la prima volta in modo completo, il linguaggio shekspeariano si fa mirabilmente funzionale alla vicenda, trascorrendo dai preziosismo di Romeo innamorato alla semplice immediatezza della passione di Giulietta fino al barocco, drammatico splendore delle scene finali.


RECENSIONE                    
Non mi sembra vero di aver finalmente letto Romeo e Giulietta. La storia d'amore più famosa di tutti i tempi era per me solo una leggenda, un mito a cui ispirarsi. 
"Voglio una relazione come Romeo e Giulietta", quante volte si è sentita questa frase, senza sapere cosa ci sia veramente dietro?
Appena iniziato questo libro, sono entrata in un mondo lontano, che non mi appartiene, in cui avvengono fatti molto distaccati dalla cultura attuale, ma che mi sono sembrati estremamente vicini grazie alla potenza delle parole con cui sono raccontati.
Nel prologo, il coro ci introduce alle "tremende lotte del loro amore, già segnato dalla morte"; dopodichè comincia la storia vera e propria.
L'inizio rende subito chiaro come, oltre alla storia d'amore, sia importante lo sfondo, il contesto storico, che non resta a uso di supplemento, ma svolge una parte attiva nelle vicende. La prima scena, infatti, rappresenta una piccola battaglia tra alcuni esponenti delle casate dei Capuleti e Montecchi, mostrandoci l'odio insito negli anni di convivenza a Verona, che torna ad esplodere utilizzando qualsiasi possibile pretesto, sviluppandosi in scaramucce da nulla fino ad arrivare a veri e propri duelli all'ultimo sangue. 
La rappresentazione di questa amarezza che scorre tra i protagonisti senza ragioni rilevanti, di come tutti possano essere resi ciechi dalla rabbia, se messi a fronte a un'infima scintilla di disprezzo facilmente sorpassabile, risulta eccezionale soprattutto quando messa a confronto con il suo polo opposto: l'amore. Emblemi di questo sentimento sono Romeo e Giulietta, a dimostrazione che "per amore non c'è ostacolo di pietra, e ciò che amore può fare, amore tenta". Sprezzanti dei rischi e incuranti delle loro origini, si incontrano in segreto nella notte, inscenando ciò che tutti già conoscono: lei, affacciata al balcone e lui sotto ad ammirare il suo viso che risplende alla luce della luna e che fa impallidire quest'ultima con la sua bellezza. 

Già detta così è abbastanza poetica da far sognare, leggerne lo è ancora di più. Gli scambi tra i due innamorati sono di una bellezza sublime, tanto che dovevo fermarmi ogni due righe per sottolineare qualcosa, tanto da avere la pelle d'oca e restare quasi estasiata da tanta delicatezza.
Shakespeare fa uso di un linguaggio ricco di metafore ed estremamente immaginifico, portando riferimenti soprattutto al mondo naturale, ma in altri contesti è riuscito a stupirmi. Così come l'odio è messo a contrasto con l'amore, anche altre scene sono fortemente discordanti: negli scambi di battute tra i giovani protagonisti maschili il registro diventa più colloquiale, talvolta allusivo, punzecchiante e malizioso, soprattutto per quanto riguarda Mercuzio, simbolo vivente della giovinezza e della spensieratezza; in un altro momento, invece, mi ha proprio lasciato senza parole. Infatti, in un violento litigio tra Capuleti e la figlia, volano parole rozze e forti, insulti, risonanti di asprezza e parolacce. 
Sono proprio queste discrepanze a mettere in luce l'abilità di scrittura del poeta, la maestria di chi sa spaziare e adattare la propria arte a qualsiasi situazione.
Oltre che ipnotizzarmi e farmi sospirare sognante, Romeo e Giulietta è riuscito anche a stupirmi con rivelazioni e scene di cui non ero a conoscenza. L'età di Giulietta, per esempio, che è solo una quattordicenne e la prematurità con cui avvenivano gravidanze e matrimoni, ma soprattutto il fatto che i due innamorati non si conoscessero affatto, ma siano vittime di un grandioso colpo di fulmine.
Un'altra cosa che mi ha stupito abbastanza è la mancanza di descrizioni dell'ambientazione. Tipico dei classici è, infatti, la quasi eccessiva contestualizzazione nello spazio, in cui tutto viene descritto minuziosamente e qui, seppur trattandosi di un'opera teatrale, mi aspettavo qualche nota esterna, qualche descrizione da parte del coro che fa da narratore o anche dei riferimenti nei dialoghi, mentre invece tutto si limita all'azione e non alla digressione. Devo dire che, forse, questa mancanza ha fatto sì che il ritmo della lettura fosse estremamente più rapido e coinvolgente e un'eccessiva attenzione ai dettagli avrebbe guastato la suggestività dell'insieme. 
Ricordo che ero scettica, prima di leggerlo. Avevo paura di dover impiegare giorni, districandomi tra discorsi aulici e complicati, mentre invece questa piccola opera d'arte è breve e tranquillamente leggibile in un pomeriggio.
Notevole come in così poco spazio possa essere racchiuso tanto sentimento, ma nella botte piccola sta il vino buono, e io penso proprio di aver lasciato un pezzetto del mio cuore in questo piccolo angolo di poesia.


VOTO: 10