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giovedì 24 dicembre 2015

Le cronache di Teseo - Abraham Tiberius Wayne

Le cronache di Teseo - Abraham Tiberius Wayne
Pagine: 91
Edizione: Les Flaneurs Edizioni


TRAMA                                                                                      
"Le cronache di Teseo" è una serie di sei racconti brevi che descrivono il mitologico viaggio dell'eroe greco da Trezene ad Atena e il celeberrimo episodio che vede il figlio di Etra confrontarsi con il minotauro, il tutto riproposto in chiave fantasy. Elementi tipici e atipici del genere quali incantesimi, evocazioni, pozioni, creature fantastiche della mitologia greca, ebraica e del folklore italiano non alterano i connotati di struttura del mito greco: gli Dei, i loro capricci e i giochi di potere conservano sempre un ruolo predominante e il Fato continua a essere un'entità cui è inutile sottrarsi.


RECENSIONE                                                                         
Mi sono sempre piaciute le leggende, le fiabe e ancor di più le loro rivisitazioni: gli autori che si mettono in gioco per trasformare la tradizione in qualcosa di nuovo, originale e anticonformista; quegli "eretici" che osano metter mano all'ordine costituito. E non c'è nulla di più costituito delle storie dell'antica Grecia, conosciute da tutti, studiate sui banchi di scuola, rappresentate da grandi scultori come Canova con la sua opera Teseo sul minotauro, che fa proprio al caso nostro.
Le cronache di Teseo è composto da sei storie, strutturate in maniera abbastanza rigida e monotona: immaginate l'eroe su una vastissima scala a sei pioli, in cui su ogni gradino deve sconfiggere uno o più nemici, al fine di arrivare alla sua meta, elevarsi (in senso lato) e progredire sempre verso il meglio. La narrazione risulta un po' sbrigativa, perchè le missioni non sono altro che un susseguirsi di colpi di magia e poco più. Per questo motivo, a cui si aggiunge il linguaggio molto semplice e spigliato e il ritmo veloce, le storie che compongono il libro risultano molto scorrevoli, ma anche carenti dal punto di vista del coinvolgimento emotivo. 
Le basi, l'idea di fondo su cui tutto è costruito, sono lodevoli e si nota anche l'interessamento dello scrittore rispetto ai contenuti trattati, la sua conoscenza dei vari miti classici. Ma in un atto di modestia, egli ha volutamente mantenuto un registro basso, per rendere la sua versione della letteratura classica accessibile ai più, per ampliare il suo target di pubblico, integrando anche i ragazzi più giovani o coloro che leggono poco. I capitoli sono brevi per favorire quelli che hanno scarsa capacità di concentrazione e che hanno bisogno di staccare la spina dopo poche pagine. I primi due, che normalmente servono da introduzione alla storia e sono principalmente descrittivi, sono in questo caso improntanti esclusivamente sull'azione per fare da esca ai lettori alle prime armi.
E' sempre interessante scoprire come, dal punto di vista di chi il libro lo scrive, tutto sia studiato e volto a un fine ben preciso, ad un pubblico stabilito e, soprattutto in questo caso, le scelte dell'autore mi sembrano razionali ed efficaci. Ma dovendomi, da lettrice, fermare alla superficie narrativa, mi ritrovo a dire che ho sentito la mancanza del dettaglio, delle ambientazioni curate e dei piccoli particolari che arricchiscono un racconto e lo rendono "solido". Soprattutto nel caso delle storie di eroi e leggende è molto interessante approfondire le dinamiche, fornire un contesto, in modo particolare nel caso dei miti classici greci, in cui l'azione e l'avventura svolgono un ruolo primario (si veda l'Iliade, l'Odissea, l'Eneide), ma dietro agli atti si nasconde sempre un ampio studio psicologico e spirituale.
In sostanza, quest'opera mi è sembrata un bozzetto che potrebbe dar vita ad un romanzo straordinario, se solo più curato. E' un baco di seta che preannuncia la nascita di una creatura meravigliosa, che però ancora non è riuscita a svilupparsi fino a diventare una maestosa e coloratissima farfalla.


VOTO: 6-

domenica 20 dicembre 2015

Carnacki, Il cacciatore di fantasmi vol.II - William H. Hodgson

Carnacki, il cacciatore di fantasmi vol.II - William H. Hodgson
Pagine: 92
Edizione: Dunwich


TRAMA                                                                          
William Hope Hodgson, scrittore britannico e maestro dell'horror, fu uno degli autori preferiti di Lovecraft, che si ispirò al suo capolavoro, La casa sull'abisso, per ideare il ciclo di Cthulhu. I racconti di Hodgson, qui ritradotti, sono incentrati sulla figura di Carnacki, cacciatore di fantasmi e indagatore del sovrannaturale. In ogni storia il protagonista trasporta i lettori nelle atmosfere cupe e terrificanti che hanno segnato la storia della letteratura di genere. Attraverso l'uso di strumentazioni speciali da lui create, quali il celebre Pentacolo Elettrico, Carnacki riuscirà a risolvere i difficili casi di manifestazioni ultraterrene che è chiamato a indagare.


RECENSIONE                                                                                                                
Mi vergogno un po' nell'ammettere questa carenza, ma prima di leggere questa raccolta di racconti non conoscevo William H. Hodgson, a quanto pare un autore alla stregua di Poe e Lovecraft. 
Il cavallo dell'invisibile, Il cercatore dell'ultima casa e La cosa invisibile si muovono attorno alla figura dell'investigatore dell'occulto Carnacki, un personaggio avvolto di mistero di cui non conosciamo altro che il nome e l'abitudine di sedersi in poltrona e fumare la pipa (che quasi sicuramente non contiene tabacco) in compagnia di Jessop, Arkright, Taylor e il narratore, che costituiscono il pubblico delle sue orazioni. Esse si concludono sempre allo stesso modo: 


"Andate pure", disse in modo amichevole, usando la solita formula.
E noi immediatamente uscimmo nel silenzio del lungofiume e ci dirigemmo verso le nostre case.

All'interno di questa cornice di routine si dispiegano, come tele di quadri, gli onirici racconti di Carnacki, giocate su incredibili accostamenti di chiaro-scuro e una minuziosa attenzione al dettaglio.
Il primo racconto, Il cavallo dell'invisibile, mi ha ricordato quell'opera meravigliosa che è Incubo di Johann Heinrich Fussli: la cavalla, leggendaria portatrice di incubi (non è una coincidenza che in inglese cavalla, giumenta, si dica "mare" e incubo "nightmare") prorompe spaventosamente nella stanza di una pura ragazza vestita di bianco. E' incredibile la quantità di analogie che si ritrovano tra questo emblematico dipinto e i racconti di Hodgson, in cui il supernaturale irrompe con violenza nella quotidianità, ma in particolare esso sembra essere quasi la rappresentazione artistica di ciò che viene narrato: la tragica maledizione che da generazioni tormenta la famiglia del capitano Hisgins, e soprattutto le sue figlie. Prossime al matrimonio, esse cominciano ad essere tormentate dai nitriti e dal rumore di zoccoli di una misteriosa presenza, che arriva a possederle fino a farle impazzire  o a colpirle mortalmente.
Questa storia e la seconda, Il cercatore dell'ultima casa, sono quelle che mi sono piaciute di più per la forte tensione che riescono a creare nel lettore, ma soprattutto per una particolarità che mi ha incuriosito e fatto sorridere. Entrambe si sviluppano su due piani di irrealtà: il principale e più 
evidente è quello del sovrannaturale, fatto di presenze o fantasmi. Ogni racconto si chiude, poi, con soluzioni grottesche e umoristiche che lacerano violentamente l'atmosfera di suspence che stava sospesa nell'aria; in un senso diverso dal precedente, esse risultano irreali perchè poco credibili in un contesto già di per sè incredibile.
La cosa invisibile mi è sembrata invece sbrigativa e generica, un po' come il suo titolo, ma non tanto da far declinare l'andamento del libro che è in linea di massima positivo. La raccolta è, infatti, scorrevole e coinvolgente come ogni racconto ricco di suspense che si rispetti, e con i suoi finali un po' assurdi riesce anche a far sorridere. 
Una buona introduzione al mondo di questo autore poco noto, che invoglia ad approfondire la sua conoscenza.


VOTO: 7

giovedì 17 dicembre 2015

#Segnalazione: Il siberiano, Giovanna Roma

IL SEQUEL DE "LA MIA VENDETTA CON TE"

Sono stato tradito dal mio migliore amico.
Maksim non ha ben chiaro contro chi ha dichiarato guerra.
E' giunto il momento di un cambio al vertice, di pagare per i propri errori. Lacrime di sangue righeranno le guance della sua bella Katerina.

"Non supererà mai il dolore che gli infliggerò. Ha avuto l'audacia di tradirmi ancora, ma scoprirà sulla sua pelle che sarebbe stato meglio non essere ritrovati dal Siberiano."


Titolo: Il siberiano
Autrice: Giovanna Roma
Pagine: 347
Edizione: Self-publishing
Booktrailer: QUI

DAL 16 DICEMBRE, ACQUISTABILE SU KINDLEKOBOGOOGLE PLAYRIZZOLI

lunedì 7 dicembre 2015

The girl on the train - Paula Hawkins

The girl on the train - Paula Hawkins
Pagine: 325
Edizione: Penguin 
Titolo italiano: La ragazza del treno 


TRAMA                                                                                
Ogni mattina, Rachel prende lo stesso treno che la porta dalla periferia di Londra al suo grigio lavoro in città. Seduta accanto al finestrino, può osservare, non vista, le case e le strade che scorrono fuori e, quando il treno si ferma a uno stop, può spiare una coppia, un uomo e una donna senza nome che ogni mattina fanno colazione in veranda. Li osserva, immagina le loro vite, ha perfino dato loro un nome: per lei, sono Jess e Jason, la coppia perfetta dalla vita perfetta. Ma una mattina Rachel, su quella veranda, vede qualcosa che non dovrebbe vedere. La rassicurante invenzione di Jess e Jason si sgretola e la sua stessa vita diventerà inestricabilmente legata a quella della coppia. Ma che cos'ha visto davvero Rachel?


RECENSIONE                                                                                                                      
Ho letto questo libro perchè tutti lo leggevano, "just as simple as this", e ciò che posso dire dopo averlo concluso è che non capisco le ragioni del suo successo internazionale. La ragazza del treno è esploso con un micidiale boom che ha risvegliato le coscienze dei lettori di tutto il mondo, venendo presentato ovunque come un thriller psicologico dal finale inaspettato e sconvolgente.
Se non lo avessi iniziato basandomi su tutte queste premesse, forse mi sarebbe piaciuto, ma avendo alte aspettative per un thriller denso di suspence e colpi di scena, sono rimasta delusa: la narrazione, al contrario di quanto mi aspettavo, è lenta e statica. Arrivata al 67% della lettura avevo in mano solo qualche indizio, ma non avevo scoperto niente di sconvolgente e stavo per mollare la presa. 
Se dovessi considerarlo per altri suoi aspetti, devo dire che è davvero un'ottima rappresentazione dell'interiorità femminile e dei drammi di tre donne anticonvenzionali e immorali: Rachel, Megan e Anna che si alternano come narratrici. Rachel apre le danze, presentataci mentre beve gin tonic sul treno del venerdì sera, una donna sola e triste che guarda dal treno una coppietta felice e poi Megan, la donna di questa coppia felice che guarda il treno dalla veranda di casa sua, lasciandosi cullare dal suo rumore sui binari. Si crea un affascinante gioco di sguardi tra due donne apparentemente diverse, ma in realtà ugualmente vittime delle proprie tragedie personali. Megan soffre di depressione ed ha dei comportamenti che assomigliano a quelli di una patologia borderline, Rachel è un'alcolista che beve per fuggire dalla sua routine asfissiante e guarda la villetta di Megan per non guardare quella di Anna, la nuova moglie del suo ex marito, affetta da vere e proprie ossessioni, vittima dell'ansia e della paura verso minacce invisibili. Nessuna delle tre donne sembra essere esente da qualche piccolo disturbo psichico (forse come ognuna di noi) e i loro problemi sono descritti in maniera estremamente analitica, quasi psichiatrica, come se l'autrice si fosse completamente fusa con le loro menti. Rachel, Megan, Anna: tre burattini legati tra loro da un filo proveniente da un'unica matassa, che le avvolge fin quasi a soffocarle e che intesse un intrico di relazioni con due uomini che accomunano tutte e tre. La figura maschile è rappresentata in modo estremamente negativo, tanto da spiccare anche tra i comportamenti delle tre donne, che positivi sicuramente non sono. In definitiva, si può dire che non ci siano personaggi positivi, se non marginali che appaiono due o tre volte senza dare nessun tipo di contributo. E' un romanzo in cui non ci si può fidare di nessuno, neanche del narratore che ci rivolge le sue parole; una storia in cui i famosi proverbi "non giudicare un libro dalla copertina", "l'apparenza inganna" "fidarsi è bene, non fidarsi è meglio" trovano forma. E' capitato anche a me, è capitato a tutti, di girare per la strada e incontrare lo sguardo di uno sconosciuto che ci resta in testa per tutto il giorno; di sedersi sull'autobus e fissare
la propria attenzione su quella strano tipo in piedi di fianco a voi, con l'aria misteriosa. Questo libro sembra volerci dire: "diffidate", poichè ciò che pensiamo delle persone che non conosciamo non trova quasi mai riscontro nella realtà. 
Muovendoci nel campo del thriller, lungo il corso del libro si sospetta di tutti, uno ad uno, soprattutto verso il finale quando la loro freddezza e spietatezza sembra acuirsi in maniera quasi disumana. 
E poi finalmente il finale, questa leggenda metropolitana che animava recensioni in tutte le lingue. Ma anche in questo caso non vi ho trovato niente di così eccezionale rispetto ad altri romanzi dello stesso genere decisamente più sbalorditivi: i personaggi sono cinque, non c'è una così vasta gamma di possibili colpevoli. A parte essere un po' inquietante per alcune immagini abbastanza crude che dipinge, non ha risollevato l'andazzo generale del libro.


VOTO: 5,5

domenica 29 novembre 2015

Follia - Patrick McGrath

Follia - Patrick McGrath
Pagine: 296
Edizione: Adelphi
Titolo originale: Asylum


TRAMA                                                                                
Dall'interno di un tetro manicomio criminale vittoriano uno psichiatra comincia a esporre, con apparente distacco, il caso clinico più perturbante che abbia incontrato nella sua carriera - la passione letale fra Stella Raphael, moglie di un altro psichiatra dell'ospedale, e Edgar Stark, un artista detenuto per un uxoricidio particolarmente efferato.
In questo romanzo neogotico McGrath ci scalza dalla posizione abituale e confortevole di lettori, chiedendoci di adottare il punto di vista molto più scabroso di chi conduce una forma singolarmente perversa di indagine: il lavoro analitico. Eppure qualcosa, forse una tensione che a poco a poco diventa insopportabile, ci avverte che i conti non tornano, e che l'inevitabile, scandalosa e beffarda verità sarà molto diversa da quella che eravamo costretti a immaginare. 


RECENSIONE                                                                                                                                 
Follia era dappertutto. Era sulla bocca delle mie amiche lettrici, era sullo scaffale delle offerte in una libreria al mare, quando ho deciso di comprarlo; era su un articolo di Internazionale, quando ho deciso di leggerlo. Per una come me, sempre fortemente ammaliata dal fascino della psiche di personaggi complessi e squilibrati, leggere questo romanzo è stato come un pranzo di nozze per un affamato. 
Il narratore è uno psichiatra, che analizza tutti gli oggetti della sua osservazione da un punto di vista scientifico e oggettivo (almeno inizialmente). I comportamenti diventano conseguenze di moti della mente oscuri ai più, processi nascosti e, in questo caso malfunzionanti, perchè Stella Raphael e Edgar Stark non intraprendono una relazione normale. Se si cercano sul dizionario i sinonimi di morboso, si trova: esagerato, eccessivo, innaturale, sproporzionato, squilibrato, anormale, ossessivo. Tutto questo è il loro amore, fatto di instancabile lussuria e isteria. Adultero aggiungerei. 
La frustrazione e la noia di una moglie insoddisfatta della propria vita sono le scusanti, i capri espiatori usati per giustificare la passione estrema, causata ovviamente anche da una non trascurabile malattia mentale latente nella mente della donna come un piccolo demone mai citato, ma intuibile, che aspettava solo l'occasione giusta per emergere. La scintilla che ravviva quella brace morta che è la vita di Stella è ironicamente la freddezza del marito, anch'egli psichiatra come il narratore, arido dal punto di vista emotivo e carnale; un uomo che adotta lo sguardo da scienziato anche tra le mura domestiche. E' forte il tema della famiglia distrutta dal tradimento; il tema di un figlio abbandonato, innocente capretto immolato sull'altare per un demone invece che per una divinità.
Ma figlio e marito non sono gli unici a soffrire le conseguenze di questo dramma che, come un turbine, travolge tutti i personaggi: si assiste impotenti al loro decadimento. Tutti sono deboli
Stella è nelle prime pagine una donna alta e attraente in modo peccaminoso nel suo attillato vestito nero, la sera del ballo. Cadrà poi vittima dell'apatia, distrutta dalla depressione e del deperimento fisico; una donna che "non pensava al futuro, perchè pensare al futuro ha senso solo se si desidera qualcosa, e lei ora non desiderava niente, le bastava arrivare in fondo alla giornata senza diventare pazza." Edgar ci è presentato come un uomo avvenente e cupo, moro e intenso nell'animo e nell'aspetto, tanto da non sembrare nemmeno un malato mentale; si mostra, poi, incoscientemente crudele, incapace di controllo e angosciato dall'abbandono come un bambino trascurato in passato. 
A rappresentare il culmine della fragilità umana sta poi proprio quel narratore inizialmente oggettivo e distaccato, addirittura anonimo per molte pagine, che si trasforma in uno scienziato contaminato dal morbo dei suoi pazienti; uno psichiatra che cade nell'ossessione, la stessa che i pazienti provano l'uno per altro, esasperatamente innamorato del loro legame, dell'immagine idealizzata che rappresentano.
"Le storie d'amore catastrofiche contraddistinte da ossessione sessuale sono un mio interesse professionale ormai da molti anni." ci diceva all'inizio, sottolineando la professionalità del suo interessamento, alla fine smentito dalle ultimissime parole angoscianti del romanzo.  
Io stessa sono stata travolta: mi sono appassionata a questa storia morbosa in maniera quasi altrettanto malata. Ho amato tutti gli aspetti di questo libro, tutti gli intrighi e i rapporti psicanalizzati tra i personaggi ed li ho odiati uno ad uno, ma rimanevo sempre vorace, affamata di leggerne la sorte. Ma soprattutto, sono caduta sotto l'incantesimo dell'amore di Stella e Edgar, poichè nonostante la sua primitività e bestialità, o forse proprio per questo, mi è sembrato molto più autentico di altre relazioni fittizie e costruite, dettate dal bisogno di mantenere un'apparenza di benessere che in realtà non esiste, di cui un esempio è quella fra Stella e Max.
Un remake postfreudiano di Cime tempestose dominato dall'angoscia e da una passione furiosa che viene trasmessa al lettore, avvelenandolo.


VOTO: 9

martedì 24 novembre 2015

Berlin - Fabio Geda, Marco Magnone

Berlin - Fabio Geda, Marco Magnone
Pagine: 202
Edizione: Mondadori


TRAMA                                                                                    
E' l'Aprile 1978: sono passati tre anni da quando un misterioso virus ha decimato uno dopo l'altro tutti gli adulti di Berlino. In una città spettrale e decadente, gli unici superstiti sono i ragazzi e le ragazze divisi in gruppi rivali, che ogni giorno lottano per sopravvivere con un'unica certezza: dopo i sedici anni, quando meno se lo aspettano, il virus ucciderà anche loro.
Tutto cambia quando qualcuno rapisce il piccolo Theo e lo porta via dall'isola dove viveva con Christa e le ragazze dell'Havel.
Per salvare il bambino, Christa ha bisogno dell'aiuto di Jakob e dei suoi compagni di Gropiusstadt: insieme dovranno attraversare una Berlino fantasma fino all'aeroporto di Tegel, covo del più violento gruppo della città. 


RECENSIONE                                                                                                                           
Non mi aspettavo un libro simile da Fabio Geda, mi incuriosiva; inoltre il titolo, Berlin, non poteva passare inosservato ai miei occhi. Mi sono innamorata di Berlino il 30 Agosto 2014, da quel giorno me la porto nel cuore e ogni libro che vi sia ambientato deve essere mio. Diciamo che mi serve per sentirla più vicina, per farmi rivivere la sua atmosfera. L'atmosfera di questa Berlino di Geda e Magnone non è quella che io ho conosciuto: rispetto alla Berlino in evoluzione e in fermento, piena di cantieri e persone da tutto il mondo, questa è una città statica, immobile e permeata dalla morte. Il muro è una ferita che la spacca in due; il virus che ha sterminato gli adulti l'ha resa ancor più desolata. 
Quasi scimmiottando le grandi potenze che dopo la Seconda Guerra Mondiale si divisero la Germania, i ragazzi sopravvissuti si raggruppano in 5 zone distinte nei punti focali della città , dove si trovavano i monumenti più imponenti o i più famosi luoghi di aggregazione: il quartiere di Gropiusstadt, l'Havel, il Reichstag, l'aeroporto Tegel e lo Zoo. Le età sono varie, tra i personaggi principali si va dai 9 ai 14 e 15 anni; si arriva fino a 18 o 19 fra i veterani trattati con riverenza, perchè scampati di due o tre anni al virus e perchè si portano la morte addosso, come un diavoletto sulla spalla che potrebbe attaccarli da un momento all'altro. Questi numeri che definiscono l'età, però, sono solo convenzioni, poichè è facile dimenticarsi che chi abbiamo davanti ha quattordici anni, nel momento in cui inizia a camminare sui carboni ardenti: il contesto darwiniano di lotta per la sopravvivenza li forza a crescere più velocemente ed anche i ragazzini più piccoli assumono atteggiamenti poco consoni. Li ho sentiti tutti molto distanti, poco realistici e non sono riuscita a tifare per qualcuno in particolare anche nei momenti di scontro, perchè la narrazione a capitoli brevi e il ritmo serrato non mi hanno dato il tempo di affezionarmi. Le ambientazioni sono accennate, si mette il fuoco solo su qualche zona, per esempio il quartiere intorno al Tegel con i graffiti e le vetrine rotte, e la maggior parte dell'azione si svolge la sera, per cui si possono intuire atmosfere cupe e quasi spettrali, ma niente di più.                 
I personaggi sono piatti, privi di descrizione fisica e caratterizzazione; son tutti privi di un passato tranne Christa e Jakob che, ogni tanto, sono tormentati dai flashback di una vita che non esiste più. Tra i due si può intuire un legame che mi ha ricordato le faville rosse che si nascondono sotto le braci spente, e che basta soffiarci sopra per far rivivere un fuoco. E' un'affinità appena abbozzata, che si presuppone verrà portata avanti nei successivi libri della serie (esattamente, sette).
E' un libro scorrevole dalla scrittura semplice, che si basa sui fatti, l'azione e si legge tutto d'un fiato, ma che non mi ha entusiasmato nè emozionato. Mi ha lasciata abbastanza impassibile anche il finale, nonostante non fosse come me l'ero aspettato. 
Forse una storia che non ha appagato le mie aspettative, perchè non adatto a me, alla mia età e al livello delle mie solite letture; penso, al contrario, che a un pubblico giovane, per esempio dai 12 anni possa risultare estremamente piacevole e soddisfacente. Per questo, non mi sento di punirlo, ma semplicemente di affidarlo ad altre mani.


VOTO: 6  

venerdì 20 novembre 2015

Le #minirecensioni: La signorina Else, Senso


La signorina Else - Arthur Schnitzler
Pagine: 121
Edizione: Adeplhi
Titolo originale: Fraulein Else


RECENSIONE                                                                                  
Non esiste una trama che dia giustizia a questa novella. Provare a scriverla sarebbe come cercare di riassumere l'anima di una persona in poche righe, perchè La signorina Else è Else stessa. Il libro si apre in medias res, al termine di una partita di tennis. All'inizio il lettore si trova un po' spaesato, come se si fosse inconsapevolmente inerpicato in mezzo alla chioma bionda di Else fino a penetrarle nella mente, per essere sopraffatti dal suo inarrestabile flusso di coscienza. Ci si ritrova avvolti da una sinfonia: lo scrittore riesce ad orchestrare pensieri, giudizi, dialoghi e percezioni, unendo l'interiorità alla telecronaca di fatti che la fanciulla assorbe con lo sguardo man mano che avvengono. Come tanti flash che si uniscono, vediamo i vestiti di seta delle signore perbene strisciare sui pavimenti dei corridoi dell'hotel e la figura goffa del viscido signor Von Dorsday che sembra strisciare ancor più dei vestiti delle signore perbene. Sconvolgimenti e declino nascono da una lettera: il padre di Else si porta a dietro debiti da tutta la vita, come la scia di una lumaca e ora rischia l'arresta a causa di un'appropriazione di denaro un po' troppo elevata, che non può permettersi di ricavare. In maniera assolutamente opportunista e subdola, la famiglia richiede a Else di ingraziarsi il signor Von Dorsday, un vecchio amico di famiglia. Il dramma di Else annoda i suoi pensieri combattuti tra una soluzione e l'altra, tra il pensare a sè o ad una famiglia subdola e opportunista. Sotto la sua voce si nasconde quella di Schintzler stesso e insieme criticano la società viennese, divisa tra l'ipocrisia femminile e la bramosia maschile sotto i cui colpi, Else dimostra di essere una vittima vulnerabile. 
Else è un personaggio emblematico della condizione femminile, che io ho amato particolarmente e per cui ho provato una grande pietà: è incredibilmente sola, giovane e consapevolmente bella, perciò vanitosa. E' sarcastica e critica, in maniera anche abbastanza irruente e fa sorridere, ma anche riflettere, vedere come tutto ciò che pensa nella sua testa non si rifletta poi nei suoi comportamenti, che invece devono adattarsi all'etichetta di una rispettosa dama del suo tempo, un tempo che la vede come un corpo senza contenuto. Il finale è particolarmente intenso, ancor più di tutto il resto del libro, e l'autore accresce l'effetto riportando degli spartiti musicali, come a dare presenza fisica a quella colonna sonora travolgente che avremmo potuto, fino a quel momento, solo immaginare. I drastici eventi conclusivi sono riportati con leggerezza che tocca il cuore.
Penso che questa breve novella esclusivamente personale e psicologica mi abbia colpito così tanto perchè tutte noi, pubblico femminile, possiamo immedesimarci in lei, anche senza appartenere a quella precisa epoca. Le sue opinioni, i suoi atteggiamenti e soprattutto le sue critiche sono trasversali a qualsiasi tempo storico, anche il nostro. 
In un angolino del nostro cervello, starà sempre una piccola Else.
"Un po' di tenerezza quando si è carine, un po' di apprensione quando si ha la febbre,
ti mandano a scuola, e a casa s'impara a suonare il piano e il francese,
d'estate si va in campagna, per il compleanno ti fanno dei regali
e a tavola parlano di ogni genere di cose. 
Ma di quel che è in me, vi siete mai preoccupati?"


VOTO: 9 




Senso - Camillo Boito
Pagine: 55
Edizione: BUR


RECENSIONE                                                                          
Senso è il diario segreto di una contessa trentina che ci mostra come, anche ai piani più alti della classe sociale, non manchino i peccati, l'amoralità, le bassezze. Il punto di vista di Livia è quasi scientifico, molto obiettivo; la sua voce è cinica, sprezzante, senza pudore. 
"Mentre il povero giovane mi si gettava ai piedi, io, ritta,impassibile, mi guardavo nello specchio. Esaminavo il mio volto per trovarmi una ruga. (...) Trentanove anni!...tremo nello scrivere questa orribile cifra."
Livia è sposata per opportunismo ad un sessantenne molto ricco, è viziata di gioielli e vestiti eleganti. E' vanitosa, altera, consapevole della propria bellezza che, da vera femme fatale, sfrutta a suo piacimento; al contempo è terribilmente angosciata all'idea di perderla, di invecchiare, tanto da trasformare la seduzione in un mezzo per constatare se il suo potere sugli uomini è ancora invariato. Mette in atto questa tecnica per la prima volta a sedici anni, illudendo un giovane innamorato che, dopo aver tentato il suicidio, si arruola e muore in battaglia.
Livia trentanovenne a Trento è la stessa Livia che, sedici anni prima, a Venezia si innamora del giovane ufficiale austriaco Remigio. Donna istintiva, si lascia accecare e tormentare da una "formidabile passione", che la rende vittima per la prima volta. Questo cambiamento ci mostra come la sua vita sia spoglia e infelice e come tutto questo renda la donna cedevole agli impulsi della lussuria e dell'amore fisica. 
L'unica parte veramente bella e degna di nota è quella puramente estetica, che si lascia andare alla descrizione evocativa di Venezia. Tutto è musicale, stuzzica i sensi fino a rendere le parole quasi palpabili; l'atmosfera è sognante. Livia smette, per qualche pagina, di essere una "sterminatrice di uomini" o una vittima della carnalità: emblema dell'innocenza e purezza, del distacco dal materiale che sembra, per un momento, impossessarsi di lei, è il suo gesto di gettare un anello di diamanti nella laguna, grazie al quale le "parve di avere sposato il mare".
Il finale è drammatico ed anche un po' crudo, cosa che io di solito privilegio. Ma questa volta me lo aspettavo, era prevedibile e non mi ha soddisfatta, come la storia in generale che, pur essendo scritta bene, è troppo breve per coinvolgere, come fosse solamente accennata.


VOTO: 6

domenica 15 novembre 2015

Narciso e Boccadoro - Hermann Hesse

Narciso e Boccadoro - Hermann Hesse
Pagine: 283
Edizione: Oscar Mondadori
Titolo originale: Narziss und Goldmund


TRAMA                                                                                
Nel Medioevo leggendario del cattolicesimo monastico si snoda la storia dell'amicizia tra il dotto e ascetico Narciso, destinato a una brillante carriera religiosa al riparo dalle insidie del mondo e della storia, e Boccadoro, l'artista geniale e vagabondo, tentato dall'infinita ricchezza della vita e segretamente innamorato della sua caducità. Ripercorrendo una delle epoche storiche che più gli erano congeniali, Hermann Hesse riflette sul tema, centrale nella sua poetica, del contrasto fra natura e spirito, fra eros e logos, fra arte e ascesi, alla ricerca di una loro possibile integrazione.


RECENSIONE                                                                          
Quando penso alla scrittura di Hermann Hesse, mi immagino dei fiori. E' leggera, delicata, profumata; accarezza il lettore con le sue parole componendo tante frasi che sarebbero da appendere in camera e da leggere ogni mattina quando si aprono gli occhi. Peccato che, questa volta, le suddette frasi siano inserite in un contesto che non mi è piaciuto.
Narciso e Boccadoro è un romanzo che parla di tante cose, tranne che di Narciso e Boccadoro, e in cui in sostanza non avviene niente. La prima parte del romanzo si svolge nel convento di Mariabronn ed è a Narciso che viene affidato il ruolo di apertura del romanzo, il difficile compito di trascinare il lettore nelle pagine e di far sì che vi rimanga fino alla fine e, almeno inizialmente, l'obiettivo è raggiunto con successo. Presto si crea un triangolo di rapporti in cui Narciso occupa un vertice, l'abate Daniele e Boccadoro gli altri due. L'abate Daniele, semplice e buono, dallo sguardo chiaro, calmo e umile fa come da moderatore tra i due animi opposti, i due spiriti superiori di Narciso e Boccadoro. L'uno scuro e magro, l'altro radioso e florido; l'uno pensatore e analizzatore, l'altro un fanciullo sognatore, attratti inevitabilmente l'uno dall'altro, ma trattenuti dal timore del conflitto. Tutti i presupposti per una storia di amore intellettuale e platonico vengono abbandonati nel momento in cui Boccadoro decide di andarsene a zonzo per il mondo. Immaginate Narciso immobile e immutato, chiuso nel convento di Mariabronn, che svanisce a poco a poco, abbandonato dopo pochi capitoli come la comparsa di un film che, nonostante le sue buone probabilità di diventare una star, viene lasciata da parte. Ed ora, di fianco a lui, immaginate Boccadoro come una pallina di flipper, che rimbalza da un luogo all'altro senza una meta, in balia del fato o di chi per lui. Narciso resta un personaggio piatto, di cui si può arrivare a conoscere solo la facciata: lo conosciamo per ciò che è nel presente, ma se durante la lettura qualcuno si chiedesse il motivo delle sue scelte, resterebbe senza risposta. Ai nostri occhi non ha un passato e, anche tutto il suo futuro, è reciso per lasciar spazio ai viaggi di Boccadoro.
Il libro avrebbe potuto chiamarsi Boccadoro e basta, poichè lo segue passo passo dai suoi primi giorni nel convento quand'era solo un ragazzino e poi nell'età dello sviluppo e durante il suo viaggio all'insegna del piacere. Dopo l'amore intellettuale, puro e nobile, Boccadoro conosce e sperimenta l'amore carnale che dura solo una notte e poi viene dimenticato. L'unica cosa che mi è piaciuta di questo sviluppo del racconto è che le donne non vengono mai adoperate come mero oggetto, esse non sono vittime della lussuria di Boccadoro, bensì egli sembra essere vittima della loro. La figura femminile è venerata per le sensazioni che solo essa sa dare; Boccadoro non sa resistervi, si abbandona anche alle meno belle o a quelle totalmente insignificanti, "assaporandone" i gesti, le attitudini e gli sguardi. L'unico inconveniente è che la frenesia sessuale diventa un personaggio al posto di Boccadoro stesso, che resta abbastanza indefinito, poco caratterizzato così come era già avvenuto con Narciso all'inizio del romanzo. Pur essendo presente dalle prime fino alle ultime pagine, conosciamo ben poco della sua interiorità, se non la sua predisposizione per l'arte e il desiderio di vivere da vagabondo e di votarsi a amore e voluttà, che "gli parevano l'unica cosa che potesse davvero scaldare la vita, e darle un valore."
Un libro notevole dal punto di vista dello stile, come c'è da aspettarsi da Hermann Hesse, ma scarno da quello delle emozioni e del contenuto.


VOTO: 5

giovedì 29 ottobre 2015

Novella degli scacchi - Stefan Zweig

Novella degli scacchi - Stefan Zweig
Pagine: 90
Edizione: Garzanti
Titolo originale: Schachnovelle


TRAMA                                                                                       
Czentovic è un uomo rozzo e ignorante, ma anche un campione mondiale indiscusso di scacchi. Durante un viaggio in nave da New York a Buenos Aires, alcuni appassionati lo sfidano in partite amichevoli. Il campione vince la prima senza il minimo sforzo, ma nella partita successiva interviene il dottor B., enigmatico passeggero, che con i suoi consigli riesce a strappare una patta a Czentovic. Chi è lo sconosciuto in grado di tenere testa al grande campione? Dice il vero, quando sostiene di non giocare da più di vent'anni? Quale mistero nasconde in realtà quest'oscuro giocatore? 


RECENSIONE                                                                                                                       
"Novella degli scacchi", un titolo semplice e riassuntivo per un libro analitico e profondo, un po' come per Novecento di Baricco, che come questa storia di Stefan Zweig si svolge su una nave in viaggio ed è breve, ma ricca di sostanza. 
Non abbiamo precise descrizioni dell'ambientazione, non sappiamo che giorno o che anno sia e il narratore è un passeggero anonimo. Non c'è nemmeno caratterizzazione dei personaggi, se non di due. Sono i due sfidanti finali nella partita di scacchi più memorabile della storia, ma che nessun manuale registrerà; due poli opposti che si sfidano in duello organizzato con impeto e che arriveranno ad avere in comune il desiderio di vittoria. Sono due monomaniaci estremamente interessanti, poichè "più uno si circoscrive, tanto più, d'altra parte, è vicino all'infinito; proprio questi tipi in apparenza lontani dal mondo si costruiscono nella propria materia, a mo' di termiti, una straordinaria e singolarissima epitome del mondo."
Il primo, Czentovic, ci viene presentato dopo sole diciannove righe in tutta la sua ossimorica essenza fatta di ottusità e genialità. Un contadinello pressochè analfabeta, che solo osservando in silenzio due giocatori, ha imparato l'arte degli scacchi meglio di chiunque altro ad un'età da prodigio, ma con un limite: l'incapacità di immaginare. 
La forza immaginativa del dottor B, fortemente contrapposta all'aridità mentale di Czentovic, è un'arma a doppio taglio: è la sua unica via di fuga dalla realtà, che può, al tempo stesso, condurlo verso un onirico mondo di follia. Egli compare dal nulla, come se fosse sbucato improvvisamente dal pavimento del salone, proprio nel momento più critico di una partita in cui Czentovic sta sfidando un gruppo di passeggeri principianti e fortemente coinvolti. Narrando la sua storia, ci parla del terrore psicologico esercitato dal passato nazista, che usa come strumento di tortura il nulla; quel nulla che, come è noto, esercita pressione sull'animo dell'uomo come nient'altro al mondo, ma che lo spinge a perfezionare ciò che più lo rappresenta: il pensiero. Durante alcuni tormentati mesi della vita del dottor B. due realtà parallele sono arrivate a sovrapporsi. In una stanza spoglia e ridotta all'essenziale, senza nessun elemento di distrazione e con una finestra senza visuale, il dottor B diventa una pedina che si sposta lungo il perimetro della sua prigione, mentre nella sua mente si gioca una partita su un'immaginaria scacchiera. Ma come ogni dipendenza, il suo corpo e il suo spirito cominciano a chiedere sempre di più e, allora, l'animo umano si sdoppia in una pedina bianca e una nera ed inizia ad auto-sfidarsi in un duello contro sè stesso. 
Novella degli scacchi si legge in un'ora, ma resta addosso per giorni; è un libricino a cui, a vederlo, non si darebbe valore, ma che si fa leggere voracemente. Una rappresentazione formidabile del genio di un'artista che riesce a racchiudere un universo psicologico in ottanta pagine prendendo ispirazione da un gioco che si basa su un tavoliere di sessantaquattro quadranti: uno spazio finito che diventa senza confini e che arriva ad assumere milioni di volti. Gli scacchi sono bivalenti, contraddittori: sono malattia e ossessione che porta alla follia, sono fonte di talento che porta alla fama e alla ricchezza; sono movimenti meccanici dettati dalla fantasia, infinite coreografie su rigida geometria. 
"Ma non ci si rende già colpevoli di una limitazione offensiva, nel chiamare gli scacchi un gioco?"


VOTO: 9

martedì 27 ottobre 2015

Gli elisir del diavolo - E.T.A Hoffmann

Gli elisir del diavolo - E.T.A Hoffmann
Pagine: 272
Edizione: Bompiani
Titolo originale: Die Elixiere des Teufels


TRAMA                                                                                
Il romanzo è la vita di Medardus, scritta da lui stesso. I suoi genitori decaddero da un'esistenza agiata, poichè suo padre volle espiare la colpa di un peccato mortale e si recò al convento del Sacro Tiglio, ma si ammalò e morì nello stesso istante in cui nasceva Franz, o Medardus. A partire da questo momento, le avventure faustiane e dongiovannesche, rappresentazioni della catastrofe che minaccia l'individuo abbandonato dalle certezze illuministe. 


RECENSIONE                                                                       
Cosa c'è di meglio che iniziare un libro in viaggio? Iniziare in viaggio un libro estremamente coinvolgente. Rannicchiata sul sedile di un pullman, mi sono tuffata in questo romanzo del romantico Hoffmann, per fare un approfondimento per un'interrogazione, ma da mera lettura a scopi scolastici è diventata, dopo poche pagine, un piacere. Mai mi sarei aspettata una scrittura tanto accurata nei termini e nella sintassi, grazie a cui la narrazione scorre liscia, lasciando che il lettore immagini nella sua testa gli scenari perfettamente descritti. E si sa, che la natura per i Romantici, descritta bene lo deve essere per forza. All'inizio, essa è permeata da un forte sentimento di religiosità: la bellezza naturale e l'ambiente sacro e idilliaco, le piante e i fiori circondano il convento del Sacro Tiglio, luogo di nascita di Medardus, sovrastandolo e influenzandolo. Non si potrebbe mai pensare che un bambino così affascinato da un mondo puro e colorato, possa repentinamente passare all'oscurità e al male. Nel momento in cui cresce e diventa guardiano delle reliquie, Medardus cade vittima di una tentazione, che almeno una volta nella vita ognuno di noi si vede proporre e a cui è veramente

difficile resistere: la possibilità di essere migliori di ciò che si è, di elevare le proprie capacità e raggiungere il successo. Gli elisir del diavolo sono come la lampada di Aladino che può far realizzare i desideri immorali dell'animo umano. Essi hanno il potere di trasformare Medardus in uno schiavo delle passioni e dei più primitivi istinti, desideroso di lussuria e piacere carnale, capace di tutto pur di ottenere ciò che vuole. Da qui, sono introdotte le tematiche del demoniaco e dell'irrazionale, fondamentali nel filone dello Schwarzromantik, il romanticismo "nero", che influenzerà anche il grande autore dell'orrore Edgar Allan Poe.
In un intreccio di numerosissimi personaggi e ambientazioni, Medardus compie un pellegrinaggio fisico, ma anche interiore all'involontaria scoperta delle proprie radici. E' geniale come l'autore riesca a creare, in modo perfettamente studiato, delle combinazioni di personaggi apparentemente distanti fra loro, ma in realtà intimamente collegati, che sembrano essere le pedine di un disegno superiore, di cui Medardus si fa beffe. Come un Dottor Jeckyll e Mr Hide, Medardus si sdoppia fino a non riuscire più a riconoscere sè stesso e a distinguere il suo lato malvagio, folle da quello semplicemente tentato a migliorare sè stesso ed avanza sulla scacchiera tra cavalli, regine e re, incurante e consapevole del proprio potere e del fatto che"il destino domina su chi non sa sfuggirgli", ma non è egli stesso il destino?


"Ero chi sembravo, ma non sembravo chi realmente ero 
e il mio io, un enigma insolubile a me medesimo, era diviso in due dentro di me."

Nel corso della storia, sono in particolare due i personaggi splendidamente macabri che più mi hanno affascinato. La prima è Euphèmie, la donna spietata  e demoniaca per eccellenza. Ho visto in lei una rivalsa delle donne, sempre rappresentate come vulnerabili e persecutrici di valori come l'amore e la famiglia. Al contrario, Euphèmie aspira alla massima realizzazione di sè ed è disposta a tutto per ottenere ciò che vuole. Il secondo personaggio non ha nome nè volto preciso, è uno spirito maligno multiforme che si rivela a Medardus come un pittore maledetto. Non riesco a immaginarmelo, se non costantemente deformato da un ghigno maligno, che gli segna i lineamenti pronunciati. Costui è il tormento di Medardus, la personificazione della sua anima corrotta. 
In mezzo a tutta questa ricca nebulosa, spicca anche la riflessione filosofica che, prendendo avvio dal reale, si spinge ad indagare gli aspetti trascendenti della vita. 

"Quanto comunemente chiamiamo sogno e immaginazione
può invece essere la conoscenza simbolica del misterioso filo che corre attraverso tutta la nostra vita
collegandone ogni avvenimento."

Verso la fine, questi pensieri cominciano a prendere il sopravvento sui fatti, con l'effetto di rallentare notevolmente il ritmo di lettura e anche il coinvolgimento, bloccando il lettore su lunghissimi monologhi speculativi dei personaggi. Nel finale vero e proprio si verifica, però, una ripresa e si chiude un cerchio: il cerchio della vita di Medardus.
La sua fittizia autobiografia risulta, in generale, piacevole da leggere e accattivante per tutti gli aspetti immorali e peccaminosi che si incontrano pagina dopo pagina. La lussuria e la perdizione di questo Dorian Gray romantico, non possono che affascinare.


VOTO: 8

domenica 25 ottobre 2015

Un giorno come un altro - Filippo Venturi

Un giorno come un altro - Filippo Venturi
Pagine: 221
Edizione: Pendragon


TRAMA                                                                                      
Bologna, 2014: la mostra "Il mito della Golden Age", che espone, tra gli altri, il celeberrimo dipinto di Vermeer La ragazza con l'orecchino di perla, è nel suo pieno svolgimento. 
Grazie a un'incredibile serie di circostanze favorevoli, Martino, meccanico spiantato dedito ai furti di cerchioni, in una tranquilla serata di maggio riesce a intrufolarsi a Palazzo Fava, sede dell'esposizione, e a entrare in possesso del quadro. 
Parte così la storia del furto del secolo che, tra ricerche disperate e strampalate richieste di riscatto, vede protagonisti ladri dal cuore buono e funzionari tutt'altro che ineccepibili, in un crescendo di colpi di scena che porteranno a un finale inaspettato...


RECENSIONE                                                                                                                
Filippo Venturi mi ha richiesto di recensire questo romanzo in una lunga e divertentissima mail, poco dopo la mia partecipazione a un evento di Tracy Chevalier e mentre stavo leggendo Il Cardellino che, per chi non lo sapesse, tratta del furto di un quadro. Questa serie di simpatiche coincidenze e l'approccio amichevole dell'autore mi hanno spinto ad accettare la proposta e, come per continuare una collana, ho iniziato a leggere del presunto furto de La ragazza con l'orecchino di perla
Da subito, una cosa appare chiara: Filippo Venturi è uno scrittore emergente che sa, effettivamente, scrivere. La scrittura ha il potere particolare di trasferire a chi legge le emozioni di chi scrive e, talvolta, leggendo le parole di un emergente si percepisce la lieve insicurezza, qualcosa di inconscio che li trattiene e lo stile, seppur piacevole, può risultare acerbo. Filippo Venturi, invece, è sciolto, non ha freni inibitori e la sua narrazione scorre disinvolta, o almeno questa è l'impressione che si ricava leggendolo. Ma il racconto, già di per sè, partiva da una buona base. 
Il furto de La ragazza con l'orecchino di perla, seppur inventato, deve essere trattato come si deve. E' un evento storico, nazionale, che tocca i cuori di tutti gli appassionati di arte e non può essere preso sotto gamba. Lo scrittore sembra esserne perfettamente consapevole. Traccia in modo chiaro le condizioni di esistenza di questo fatto, come si fa nelle espressioni di matematica, e non lascia niente al caso. Le ambientazioni sono accurate e ricche di dettagli; i personaggi sono caratterizzati in modo completo, hanno un background di esperienze che ci viene narrato attraverso i flashback e una psicologia definita e particolare. Ognuno di essi incarna un tipo e penso che qualunque lettore di questo romanzo, dopo averlo finito, potrebbe con scioltezza attribuire un aggettivo rappresentativo ad ognuno. Crea amore e odio, simpatie e antipatie e, mettendo ben in luce chi è veramente immorale e chi ha l'animo buono, spinge a proseguire per vedere chi, alla fine, l'avra vinta in questa lotta in cui gli umili sembrano avere la propria rivalsa. L'intreccio è ben costruito, realistico e strutturato coscienziosamente, ma soprattutto imprevedibile. Non succede mai ciò che ci si aspetterebbe e gli eventi si susseguono sempre più freneticamente in un crescendo ricco di colpi di scena abbastanza sorprendenti, dato che mi ero immaginata la vicenda in modo di diverso e con uno svolgimento più semplice e, probabilmente, banale.
Oltre al piano dell'avventura e di questa specie di lotta per la sopravvivenza tra illegalità e legge, il libro gioca molto nel campo dell'emotività: ci sono famiglie distrutte che aspettano di essere ricomposte, ricordi d'infanzia, amori perduti, vite difficil ricordate con malinconia nonostante le difficoltà. Questi due livelli di narrazione scorrono spesso paralleli, abbracciandosi, e così la visione un po' cinica e un po' ironica di un mondo in cui prevale il profitto e l'apparenza sul resto, un mondo in cui "tutti fanno tutto e nessuno fa bene niente", si confonde con ricordi quasi onirici, nebulosi e momenti particolarmente introspettivi.


"Stava nascosto dietro gli alberi, a vivere il suo amore nell'unico modo in cui riusciva.
Quello che gli avevano insegnato. Da lontano.
Gustandone la quotidianità solo di riflesso, godendo di rimbalzo, accarezzando i suoi affetti con lo sguardo, sorridendo amaro. Scappando. Vergognandosi."


Un giorno come un altro è una commedia, che a tratti una commedia non lo è proprio, che spazia dal serio al ridicolo in pochi paragrafi e che risulta piacevole e divertente senza essere pretenziosa. Il libro è piccino, la lettura è scorrevole: è un compagno adatto in un periodo che non va tanto bene, se si ha bisogno di sorridere un po'. 


VOTO: 8-