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domenica 29 novembre 2015

Follia - Patrick McGrath

Follia - Patrick McGrath
Pagine: 296
Edizione: Adelphi
Titolo originale: Asylum


TRAMA                                                                                
Dall'interno di un tetro manicomio criminale vittoriano uno psichiatra comincia a esporre, con apparente distacco, il caso clinico più perturbante che abbia incontrato nella sua carriera - la passione letale fra Stella Raphael, moglie di un altro psichiatra dell'ospedale, e Edgar Stark, un artista detenuto per un uxoricidio particolarmente efferato.
In questo romanzo neogotico McGrath ci scalza dalla posizione abituale e confortevole di lettori, chiedendoci di adottare il punto di vista molto più scabroso di chi conduce una forma singolarmente perversa di indagine: il lavoro analitico. Eppure qualcosa, forse una tensione che a poco a poco diventa insopportabile, ci avverte che i conti non tornano, e che l'inevitabile, scandalosa e beffarda verità sarà molto diversa da quella che eravamo costretti a immaginare. 


RECENSIONE                                                                                                                                 
Follia era dappertutto. Era sulla bocca delle mie amiche lettrici, era sullo scaffale delle offerte in una libreria al mare, quando ho deciso di comprarlo; era su un articolo di Internazionale, quando ho deciso di leggerlo. Per una come me, sempre fortemente ammaliata dal fascino della psiche di personaggi complessi e squilibrati, leggere questo romanzo è stato come un pranzo di nozze per un affamato. 
Il narratore è uno psichiatra, che analizza tutti gli oggetti della sua osservazione da un punto di vista scientifico e oggettivo (almeno inizialmente). I comportamenti diventano conseguenze di moti della mente oscuri ai più, processi nascosti e, in questo caso malfunzionanti, perchè Stella Raphael e Edgar Stark non intraprendono una relazione normale. Se si cercano sul dizionario i sinonimi di morboso, si trova: esagerato, eccessivo, innaturale, sproporzionato, squilibrato, anormale, ossessivo. Tutto questo è il loro amore, fatto di instancabile lussuria e isteria. Adultero aggiungerei. 
La frustrazione e la noia di una moglie insoddisfatta della propria vita sono le scusanti, i capri espiatori usati per giustificare la passione estrema, causata ovviamente anche da una non trascurabile malattia mentale latente nella mente della donna come un piccolo demone mai citato, ma intuibile, che aspettava solo l'occasione giusta per emergere. La scintilla che ravviva quella brace morta che è la vita di Stella è ironicamente la freddezza del marito, anch'egli psichiatra come il narratore, arido dal punto di vista emotivo e carnale; un uomo che adotta lo sguardo da scienziato anche tra le mura domestiche. E' forte il tema della famiglia distrutta dal tradimento; il tema di un figlio abbandonato, innocente capretto immolato sull'altare per un demone invece che per una divinità.
Ma figlio e marito non sono gli unici a soffrire le conseguenze di questo dramma che, come un turbine, travolge tutti i personaggi: si assiste impotenti al loro decadimento. Tutti sono deboli
Stella è nelle prime pagine una donna alta e attraente in modo peccaminoso nel suo attillato vestito nero, la sera del ballo. Cadrà poi vittima dell'apatia, distrutta dalla depressione e del deperimento fisico; una donna che "non pensava al futuro, perchè pensare al futuro ha senso solo se si desidera qualcosa, e lei ora non desiderava niente, le bastava arrivare in fondo alla giornata senza diventare pazza." Edgar ci è presentato come un uomo avvenente e cupo, moro e intenso nell'animo e nell'aspetto, tanto da non sembrare nemmeno un malato mentale; si mostra, poi, incoscientemente crudele, incapace di controllo e angosciato dall'abbandono come un bambino trascurato in passato. 
A rappresentare il culmine della fragilità umana sta poi proprio quel narratore inizialmente oggettivo e distaccato, addirittura anonimo per molte pagine, che si trasforma in uno scienziato contaminato dal morbo dei suoi pazienti; uno psichiatra che cade nell'ossessione, la stessa che i pazienti provano l'uno per altro, esasperatamente innamorato del loro legame, dell'immagine idealizzata che rappresentano.
"Le storie d'amore catastrofiche contraddistinte da ossessione sessuale sono un mio interesse professionale ormai da molti anni." ci diceva all'inizio, sottolineando la professionalità del suo interessamento, alla fine smentito dalle ultimissime parole angoscianti del romanzo.  
Io stessa sono stata travolta: mi sono appassionata a questa storia morbosa in maniera quasi altrettanto malata. Ho amato tutti gli aspetti di questo libro, tutti gli intrighi e i rapporti psicanalizzati tra i personaggi ed li ho odiati uno ad uno, ma rimanevo sempre vorace, affamata di leggerne la sorte. Ma soprattutto, sono caduta sotto l'incantesimo dell'amore di Stella e Edgar, poichè nonostante la sua primitività e bestialità, o forse proprio per questo, mi è sembrato molto più autentico di altre relazioni fittizie e costruite, dettate dal bisogno di mantenere un'apparenza di benessere che in realtà non esiste, di cui un esempio è quella fra Stella e Max.
Un remake postfreudiano di Cime tempestose dominato dall'angoscia e da una passione furiosa che viene trasmessa al lettore, avvelenandolo.


VOTO: 9

martedì 24 novembre 2015

Berlin - Fabio Geda, Marco Magnone

Berlin - Fabio Geda, Marco Magnone
Pagine: 202
Edizione: Mondadori


TRAMA                                                                                    
E' l'Aprile 1978: sono passati tre anni da quando un misterioso virus ha decimato uno dopo l'altro tutti gli adulti di Berlino. In una città spettrale e decadente, gli unici superstiti sono i ragazzi e le ragazze divisi in gruppi rivali, che ogni giorno lottano per sopravvivere con un'unica certezza: dopo i sedici anni, quando meno se lo aspettano, il virus ucciderà anche loro.
Tutto cambia quando qualcuno rapisce il piccolo Theo e lo porta via dall'isola dove viveva con Christa e le ragazze dell'Havel.
Per salvare il bambino, Christa ha bisogno dell'aiuto di Jakob e dei suoi compagni di Gropiusstadt: insieme dovranno attraversare una Berlino fantasma fino all'aeroporto di Tegel, covo del più violento gruppo della città. 


RECENSIONE                                                                                                                           
Non mi aspettavo un libro simile da Fabio Geda, mi incuriosiva; inoltre il titolo, Berlin, non poteva passare inosservato ai miei occhi. Mi sono innamorata di Berlino il 30 Agosto 2014, da quel giorno me la porto nel cuore e ogni libro che vi sia ambientato deve essere mio. Diciamo che mi serve per sentirla più vicina, per farmi rivivere la sua atmosfera. L'atmosfera di questa Berlino di Geda e Magnone non è quella che io ho conosciuto: rispetto alla Berlino in evoluzione e in fermento, piena di cantieri e persone da tutto il mondo, questa è una città statica, immobile e permeata dalla morte. Il muro è una ferita che la spacca in due; il virus che ha sterminato gli adulti l'ha resa ancor più desolata. 
Quasi scimmiottando le grandi potenze che dopo la Seconda Guerra Mondiale si divisero la Germania, i ragazzi sopravvissuti si raggruppano in 5 zone distinte nei punti focali della città , dove si trovavano i monumenti più imponenti o i più famosi luoghi di aggregazione: il quartiere di Gropiusstadt, l'Havel, il Reichstag, l'aeroporto Tegel e lo Zoo. Le età sono varie, tra i personaggi principali si va dai 9 ai 14 e 15 anni; si arriva fino a 18 o 19 fra i veterani trattati con riverenza, perchè scampati di due o tre anni al virus e perchè si portano la morte addosso, come un diavoletto sulla spalla che potrebbe attaccarli da un momento all'altro. Questi numeri che definiscono l'età, però, sono solo convenzioni, poichè è facile dimenticarsi che chi abbiamo davanti ha quattordici anni, nel momento in cui inizia a camminare sui carboni ardenti: il contesto darwiniano di lotta per la sopravvivenza li forza a crescere più velocemente ed anche i ragazzini più piccoli assumono atteggiamenti poco consoni. Li ho sentiti tutti molto distanti, poco realistici e non sono riuscita a tifare per qualcuno in particolare anche nei momenti di scontro, perchè la narrazione a capitoli brevi e il ritmo serrato non mi hanno dato il tempo di affezionarmi. Le ambientazioni sono accennate, si mette il fuoco solo su qualche zona, per esempio il quartiere intorno al Tegel con i graffiti e le vetrine rotte, e la maggior parte dell'azione si svolge la sera, per cui si possono intuire atmosfere cupe e quasi spettrali, ma niente di più.                 
I personaggi sono piatti, privi di descrizione fisica e caratterizzazione; son tutti privi di un passato tranne Christa e Jakob che, ogni tanto, sono tormentati dai flashback di una vita che non esiste più. Tra i due si può intuire un legame che mi ha ricordato le faville rosse che si nascondono sotto le braci spente, e che basta soffiarci sopra per far rivivere un fuoco. E' un'affinità appena abbozzata, che si presuppone verrà portata avanti nei successivi libri della serie (esattamente, sette).
E' un libro scorrevole dalla scrittura semplice, che si basa sui fatti, l'azione e si legge tutto d'un fiato, ma che non mi ha entusiasmato nè emozionato. Mi ha lasciata abbastanza impassibile anche il finale, nonostante non fosse come me l'ero aspettato. 
Forse una storia che non ha appagato le mie aspettative, perchè non adatto a me, alla mia età e al livello delle mie solite letture; penso, al contrario, che a un pubblico giovane, per esempio dai 12 anni possa risultare estremamente piacevole e soddisfacente. Per questo, non mi sento di punirlo, ma semplicemente di affidarlo ad altre mani.


VOTO: 6  

venerdì 20 novembre 2015

Le #minirecensioni: La signorina Else, Senso


La signorina Else - Arthur Schnitzler
Pagine: 121
Edizione: Adeplhi
Titolo originale: Fraulein Else


RECENSIONE                                                                                  
Non esiste una trama che dia giustizia a questa novella. Provare a scriverla sarebbe come cercare di riassumere l'anima di una persona in poche righe, perchè La signorina Else è Else stessa. Il libro si apre in medias res, al termine di una partita di tennis. All'inizio il lettore si trova un po' spaesato, come se si fosse inconsapevolmente inerpicato in mezzo alla chioma bionda di Else fino a penetrarle nella mente, per essere sopraffatti dal suo inarrestabile flusso di coscienza. Ci si ritrova avvolti da una sinfonia: lo scrittore riesce ad orchestrare pensieri, giudizi, dialoghi e percezioni, unendo l'interiorità alla telecronaca di fatti che la fanciulla assorbe con lo sguardo man mano che avvengono. Come tanti flash che si uniscono, vediamo i vestiti di seta delle signore perbene strisciare sui pavimenti dei corridoi dell'hotel e la figura goffa del viscido signor Von Dorsday che sembra strisciare ancor più dei vestiti delle signore perbene. Sconvolgimenti e declino nascono da una lettera: il padre di Else si porta a dietro debiti da tutta la vita, come la scia di una lumaca e ora rischia l'arresta a causa di un'appropriazione di denaro un po' troppo elevata, che non può permettersi di ricavare. In maniera assolutamente opportunista e subdola, la famiglia richiede a Else di ingraziarsi il signor Von Dorsday, un vecchio amico di famiglia. Il dramma di Else annoda i suoi pensieri combattuti tra una soluzione e l'altra, tra il pensare a sè o ad una famiglia subdola e opportunista. Sotto la sua voce si nasconde quella di Schintzler stesso e insieme criticano la società viennese, divisa tra l'ipocrisia femminile e la bramosia maschile sotto i cui colpi, Else dimostra di essere una vittima vulnerabile. 
Else è un personaggio emblematico della condizione femminile, che io ho amato particolarmente e per cui ho provato una grande pietà: è incredibilmente sola, giovane e consapevolmente bella, perciò vanitosa. E' sarcastica e critica, in maniera anche abbastanza irruente e fa sorridere, ma anche riflettere, vedere come tutto ciò che pensa nella sua testa non si rifletta poi nei suoi comportamenti, che invece devono adattarsi all'etichetta di una rispettosa dama del suo tempo, un tempo che la vede come un corpo senza contenuto. Il finale è particolarmente intenso, ancor più di tutto il resto del libro, e l'autore accresce l'effetto riportando degli spartiti musicali, come a dare presenza fisica a quella colonna sonora travolgente che avremmo potuto, fino a quel momento, solo immaginare. I drastici eventi conclusivi sono riportati con leggerezza che tocca il cuore.
Penso che questa breve novella esclusivamente personale e psicologica mi abbia colpito così tanto perchè tutte noi, pubblico femminile, possiamo immedesimarci in lei, anche senza appartenere a quella precisa epoca. Le sue opinioni, i suoi atteggiamenti e soprattutto le sue critiche sono trasversali a qualsiasi tempo storico, anche il nostro. 
In un angolino del nostro cervello, starà sempre una piccola Else.
"Un po' di tenerezza quando si è carine, un po' di apprensione quando si ha la febbre,
ti mandano a scuola, e a casa s'impara a suonare il piano e il francese,
d'estate si va in campagna, per il compleanno ti fanno dei regali
e a tavola parlano di ogni genere di cose. 
Ma di quel che è in me, vi siete mai preoccupati?"


VOTO: 9 




Senso - Camillo Boito
Pagine: 55
Edizione: BUR


RECENSIONE                                                                          
Senso è il diario segreto di una contessa trentina che ci mostra come, anche ai piani più alti della classe sociale, non manchino i peccati, l'amoralità, le bassezze. Il punto di vista di Livia è quasi scientifico, molto obiettivo; la sua voce è cinica, sprezzante, senza pudore. 
"Mentre il povero giovane mi si gettava ai piedi, io, ritta,impassibile, mi guardavo nello specchio. Esaminavo il mio volto per trovarmi una ruga. (...) Trentanove anni!...tremo nello scrivere questa orribile cifra."
Livia è sposata per opportunismo ad un sessantenne molto ricco, è viziata di gioielli e vestiti eleganti. E' vanitosa, altera, consapevole della propria bellezza che, da vera femme fatale, sfrutta a suo piacimento; al contempo è terribilmente angosciata all'idea di perderla, di invecchiare, tanto da trasformare la seduzione in un mezzo per constatare se il suo potere sugli uomini è ancora invariato. Mette in atto questa tecnica per la prima volta a sedici anni, illudendo un giovane innamorato che, dopo aver tentato il suicidio, si arruola e muore in battaglia.
Livia trentanovenne a Trento è la stessa Livia che, sedici anni prima, a Venezia si innamora del giovane ufficiale austriaco Remigio. Donna istintiva, si lascia accecare e tormentare da una "formidabile passione", che la rende vittima per la prima volta. Questo cambiamento ci mostra come la sua vita sia spoglia e infelice e come tutto questo renda la donna cedevole agli impulsi della lussuria e dell'amore fisica. 
L'unica parte veramente bella e degna di nota è quella puramente estetica, che si lascia andare alla descrizione evocativa di Venezia. Tutto è musicale, stuzzica i sensi fino a rendere le parole quasi palpabili; l'atmosfera è sognante. Livia smette, per qualche pagina, di essere una "sterminatrice di uomini" o una vittima della carnalità: emblema dell'innocenza e purezza, del distacco dal materiale che sembra, per un momento, impossessarsi di lei, è il suo gesto di gettare un anello di diamanti nella laguna, grazie al quale le "parve di avere sposato il mare".
Il finale è drammatico ed anche un po' crudo, cosa che io di solito privilegio. Ma questa volta me lo aspettavo, era prevedibile e non mi ha soddisfatta, come la storia in generale che, pur essendo scritta bene, è troppo breve per coinvolgere, come fosse solamente accennata.


VOTO: 6

domenica 15 novembre 2015

Narciso e Boccadoro - Hermann Hesse

Narciso e Boccadoro - Hermann Hesse
Pagine: 283
Edizione: Oscar Mondadori
Titolo originale: Narziss und Goldmund


TRAMA                                                                                
Nel Medioevo leggendario del cattolicesimo monastico si snoda la storia dell'amicizia tra il dotto e ascetico Narciso, destinato a una brillante carriera religiosa al riparo dalle insidie del mondo e della storia, e Boccadoro, l'artista geniale e vagabondo, tentato dall'infinita ricchezza della vita e segretamente innamorato della sua caducità. Ripercorrendo una delle epoche storiche che più gli erano congeniali, Hermann Hesse riflette sul tema, centrale nella sua poetica, del contrasto fra natura e spirito, fra eros e logos, fra arte e ascesi, alla ricerca di una loro possibile integrazione.


RECENSIONE                                                                          
Quando penso alla scrittura di Hermann Hesse, mi immagino dei fiori. E' leggera, delicata, profumata; accarezza il lettore con le sue parole componendo tante frasi che sarebbero da appendere in camera e da leggere ogni mattina quando si aprono gli occhi. Peccato che, questa volta, le suddette frasi siano inserite in un contesto che non mi è piaciuto.
Narciso e Boccadoro è un romanzo che parla di tante cose, tranne che di Narciso e Boccadoro, e in cui in sostanza non avviene niente. La prima parte del romanzo si svolge nel convento di Mariabronn ed è a Narciso che viene affidato il ruolo di apertura del romanzo, il difficile compito di trascinare il lettore nelle pagine e di far sì che vi rimanga fino alla fine e, almeno inizialmente, l'obiettivo è raggiunto con successo. Presto si crea un triangolo di rapporti in cui Narciso occupa un vertice, l'abate Daniele e Boccadoro gli altri due. L'abate Daniele, semplice e buono, dallo sguardo chiaro, calmo e umile fa come da moderatore tra i due animi opposti, i due spiriti superiori di Narciso e Boccadoro. L'uno scuro e magro, l'altro radioso e florido; l'uno pensatore e analizzatore, l'altro un fanciullo sognatore, attratti inevitabilmente l'uno dall'altro, ma trattenuti dal timore del conflitto. Tutti i presupposti per una storia di amore intellettuale e platonico vengono abbandonati nel momento in cui Boccadoro decide di andarsene a zonzo per il mondo. Immaginate Narciso immobile e immutato, chiuso nel convento di Mariabronn, che svanisce a poco a poco, abbandonato dopo pochi capitoli come la comparsa di un film che, nonostante le sue buone probabilità di diventare una star, viene lasciata da parte. Ed ora, di fianco a lui, immaginate Boccadoro come una pallina di flipper, che rimbalza da un luogo all'altro senza una meta, in balia del fato o di chi per lui. Narciso resta un personaggio piatto, di cui si può arrivare a conoscere solo la facciata: lo conosciamo per ciò che è nel presente, ma se durante la lettura qualcuno si chiedesse il motivo delle sue scelte, resterebbe senza risposta. Ai nostri occhi non ha un passato e, anche tutto il suo futuro, è reciso per lasciar spazio ai viaggi di Boccadoro.
Il libro avrebbe potuto chiamarsi Boccadoro e basta, poichè lo segue passo passo dai suoi primi giorni nel convento quand'era solo un ragazzino e poi nell'età dello sviluppo e durante il suo viaggio all'insegna del piacere. Dopo l'amore intellettuale, puro e nobile, Boccadoro conosce e sperimenta l'amore carnale che dura solo una notte e poi viene dimenticato. L'unica cosa che mi è piaciuta di questo sviluppo del racconto è che le donne non vengono mai adoperate come mero oggetto, esse non sono vittime della lussuria di Boccadoro, bensì egli sembra essere vittima della loro. La figura femminile è venerata per le sensazioni che solo essa sa dare; Boccadoro non sa resistervi, si abbandona anche alle meno belle o a quelle totalmente insignificanti, "assaporandone" i gesti, le attitudini e gli sguardi. L'unico inconveniente è che la frenesia sessuale diventa un personaggio al posto di Boccadoro stesso, che resta abbastanza indefinito, poco caratterizzato così come era già avvenuto con Narciso all'inizio del romanzo. Pur essendo presente dalle prime fino alle ultime pagine, conosciamo ben poco della sua interiorità, se non la sua predisposizione per l'arte e il desiderio di vivere da vagabondo e di votarsi a amore e voluttà, che "gli parevano l'unica cosa che potesse davvero scaldare la vita, e darle un valore."
Un libro notevole dal punto di vista dello stile, come c'è da aspettarsi da Hermann Hesse, ma scarno da quello delle emozioni e del contenuto.


VOTO: 5