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sabato 5 novembre 2016

Lessico famigliare - Natalia Ginzburg

Lessico famigliare - Natalia Ginzburg
Pagine: 219
Edizioni: Einaudi

TRAMA                                                                      
La chiave di questo romanzo è delineata già nel titolo. Famigliare, perché racconta la storia di una famiglia ebraica e antifascista, i Levi, a Torino, tra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento. E Lessico perché le strade della memoria passano attraverso il ricordo di frasi, modi di dire, espressioni gergali. 


RECENSIONE                                                                          
Lessico famigliare è un libro molto famoso, di cui avevo sentito tanto parlare, ed è un libro che a sua volta parla. E dico proprio così, parla, perché è caratterizzato da una lingua oralizzata e gergale, perché le lettere stampate sul foglio in realtà non sono altro che la trascrizione di frasi dette, ripetute negli anni e diventate motto all'interno della famiglia della scrittrice, parole d'ordine per il riconoscimento tra i componenti. Sulla base di tali frasi costruisce la storia della sua vita famigliare partendo da ancor prima della sua nascita, nel 1916, fino ad anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Di questa storia fanno parte tutti i membri dell'albero genealogico, anche i più disparati soggetti che svolgono un ruolo di semplice comparsa: appaiono in un lampo e alla fine del paragrafo sono già spariti per sempre. Ma tutti questi parenti, vicini e lontani, si inseriscono nel contesto a cui appartengono, il romanzo si costella di echi della contemporaneità e di personaggi storici realmente esistiti, quali Turati, Einaudi, Pavese, Olivetti. 
La Ginzburg ha una grande maestria nella caratterizzazione dei personaggi, sa dipingerne l'essenza riportando pochi gesti, qualche abitudine. Ha occhio, scova i dettagli più strani e che normalmente passano inosservati. Sono personaggi tratti dalla sua vita reale e quotidiana, perciò me la sono immaginata osservare le persone con gli occhi fessurati e attenti, studiandole e plasmandole già nella sua testa come futuri personaggi di cui dover scrivere. L'autrice racconta, infatti, non da un punto di vista postumo, ma ha la capacità di mantenere quello dell'epoca, come se stesse prendendo annotazioni proprio sul momento dell'azione. Inoltre, la sua presenza passa quasi inosservata; quasi mai accenna alla propria persona o alle proprie emozioni, e anzi si mantiene piatta e coerente anche di fronte agli avvenimenti più tragici, come la morte del marito, che viene ricordata in una riga solamente, senza un cenno di emotività. 
Le ultime cinque pagine sono costruite su un rapido botta e risposta di frasi molto brevi e secche tra padre e madre, che presi dalla frenesia del trasloco della figlia a Roma, fanno una carrellata di ricordi di persone ed aneddoti degli anni passati, ripetono tutte le frasi che avevano svolto, nella storia, lo stesso ruolo di un ritornello. Come se ci si trovasse davanti ad un'orchestra che, arrivata alla fine del componimento musicale, si sente invadere da una forte malinconia e dal desiderio che il pezzo in realtà possa non finire mai; e a questo punto tutti gli strumenti cominciano ad alzare i toni e velocizzare il ritmo, si scavalcano l'un l'altro per far sentire la propria voce, in un crescendo che poi di colpo si spegne su una frase del padre "Ah non cominciamo adesso col Barbison! Quante volte l'ho sentita contare questa storia!".
Sinceramente, molto altro da dire su questo romanzo non c'è, perchè non si basa su un intreccio, non contiene azione: è semplicemente un diario di bordo della vita in famiglia, fatta di aneddoti, persone e frasi ripetute all'infinito. Non mi ha lasciato molto, se non il pensiero che effettivamente ogni rapporto si identifica con alcune parole, che risuonano come un eco nella bolla d'affetto che si crea tra le persone. 


VOTO: 6