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martedì 24 gennaio 2017

Berlin Alexanderplatz - Alfred Doblin

Berlin Alexanderplatz - Alfred Doblin
Pagine: 500
Edizione: BUR


TRAMA                                                                 
Il romanzo epico Berlin Alexanderplatz, ambientato nella Berlino anni '20, narra le vicende di Franz Biberkopf, ex detenuto alla prigione di Tegel, che ritornato in città si ripropone di vivere onestamente. Verrà ostacolato nel suo proposito da compagnie sbagliate e da un destino più grande di lui. Cadrà tre volte fino alla presa di coscienza definitiva. 


RECENSIONE                                                    
Ho dovuto leggere Berlin Alexanderplatz per un esame universitario e a causa dei commenti che mi erano giunti all'orecchio, non l'ho iniziato con particolare entusiasmo. Tale è rimasto il mio approccio per tutta la durata della lettura, che mi è risultata decisamente pesante e poco gradevole. Per finirlo entro un determinato giorno, mi ero imposta un certo numero di pagine da leggere ogni giorno e spesso non riuscivo a terminarle perchè le trovavo decisamente poco coinvolgenti. 
Il libro si compone di vari elementi, perchè l'autore vi applica la tecnica del montaggio: alla storia di base aggiunge riferimenti biblici e alla classicità, ma soprattutto flash di tutto ciò che il protagonista incontra sul suo cammino, andando per le strade di una Berlino anni '20, che hanno l'obiettivo di riprodurne l'atmosfera caotica. Essi si compongono di elenchi infiniti di nomi di vie, fermate dei tram oppure di oggetti esposti nelle vetrine dei negozi, notizie riportate sui giornali ed episodi di cronaca che vengono raccontati per filo e per segno, nonostante non siano funzionali allo sviluppo degli eventi. Vengono utilizzati inoltre vari stili narrativi, come il monologo interiore, il discorso indiretto libero e spesso si passa dalla narrazione in terza persona ai pensieri dei personaggi senza nessuna introduzione, cosa che provoca un certo spaesamento nel lettore. Mi ritrovavo a non capire di cosa si stesse parlando per intere righe. 
Tolti tutti questi ostacoli alla lettura, l'intreccio di base non sarebbe neanche male, bensì ricco di azione e colpi di scena e anche spunti di riflessione. Si racconta la storia di Franz Biberkopf, che uscito dalla prigione di Tegel, nel momento della reintroduzione in società si ripromette di vivere onestamente. Gli si oppone un destino più grande di lui, che ne scrive la sorte. Ciò ricorda un po' gli eroi epici nelle mani delle divinità, ma a differenza di questi Franz è un antieroe che subisce gli eventi in modo passivo e che, una volta compiuti errori madornali, si rifiuta di compiere un auto-analisi volta a migliorarsi e a riconoscere i propri sbagli per poi porvi rimedio. Preferisce atteggiarsi in maniera arrogante, affermando la forza del proprio Io di rimettersi in piedi ogni volta, nonostante tutto. Ciò lo porta a cadere tre volte fino ad un momento decisivo di drammatica svolta. 
Il finale presenta un quadro a mio parere geniale, che però perde la sua essenza nella solita narrazione inframmezzata da elementi inutili: il confronto di Franz con tutti i suoi errori che lo vanno a trovare come personificazioni realmente esistenti, tridimensionali, che lo affrontano e lo interrogano.
In generale, anche i personaggi presentati sono interessanti, presentano tratti psicologici e comportamenti originali. Contribuiscono a costruire l'immagine di una Berlino povera e criminale in cui la gente sopravvivere solo tramite sotterfugi e reati. 
So che lo stile riflette un particolare approccio al mondo dell'autore e che si tratta, ovviamente, di una scelta ragionata e volutamente provocatoria, ma ha reso la lettura un incubo in certi punti e ciò ha oscurato tutti i possibili lati positivi ed espedienti narrativi originali. 


VOTO                                           

Le cronache degli Arcangeli - Alexis Ann Flower

Saluto il 2017 con quasi un mese di ritardo, a causa della sessione d'esame. Inauguro l'anno nuovo con la recensione di tre racconti delle scrittrici riunitesi sotto lo pseudonimo di Alexis Ann Flower, che formano parte delle Cronache degli Arcangeli e delle avventure della Cacciatrice Cassandra: Anche i demoni hanno un cuore, Azrael, Cuore di ghiaccio.




RECENSIONE                                                                
Questi tre brevi testi, di una decina di pagine l'uno, si concentrano su brevi sprazzi d'azione e ruotano attorno a uno o due personaggi, che i lettori dovrebbero più o meno già conoscere se hanno letto i romanzi precedenti della saga. Io li avevo lasciati da molto tempo, dopo aver preso una certa familiarità con il loro carattere e le loro avventure, eppure sono servite poche pagine per rinfrescarmi la memoria. Mi ero affezionata a loro, le trame coinvolgenti avevano sempre catturato la mia attenzione; i tipi umani, o per meglio dire angelici, mi avevano colpito per le loro forti passioni, i loro animi focosi ed impulsivi, quasi portati all'eccesso dalla loro esistenza extra-umana. Nonostante normalmente mi piaccia leggere romanzi più impegnati, classici o pesanti tomi, queste storie che si collocano nel genere fantasy-surreale-romance mi sono sempre sembrate piacevoli.
Il primo racconto, Anche i demoni hanno un cuore, mi ha come "solleticato": ha punzecchiato il mio desiderio di vedere oltre, che si è arrampicato dentro di me fino ad uscire allo scoperto. Mi sembrava di vederlo, personificato, davanti alla pagina, impegnato ad esprimere con il tono più perentorio possibile la pretesa di saperne di più su una storia d'amore ad uno stato in potenza, e non ancora in atto, tra la mutaforma Amael e l'arcangelo Uriel, che la lascia con la promessa che si sarebbero presto rivisti. 
Quello che mi è piaciuto di più è stato però l'ultimo, Cuore di ghiaccio. È, a mio parere, quello meglio strutturato e meno sbrigativo, nonostante debba concludersi in pochissime pagine come tutti gli altri. Si concentra su Samael, un arcangelo che ha rinnegato la sua natura per l'amore e, dopo averlo perso, si è recluso tra le alture del Wyoming per condurre una vita ascetica a contatto con la natura. Si presenta come un personaggio sicuro di sè, con una grande forza d'animo e fedeltà al ricordo della moglie scomparsa, a cui ha dato una sepoltura monumentale. Nel corso della narrazione, viene inserito anche un flashback che ci riporta ai tempi della nascita del loro amore e introdotta un'ambientazione che non avrei mai pensato potesse risultare consona in una serie di storie di genere fantastico: Samael, arcangelo della Giustizia, lavora in un'aula di tribunale ed interviene a decidere i destini anche nei casi più comuni. L'idea di introdurre un simile contesto mi è sembrata originale e diversa, e trovo che abbia arricchito il racconto con un elemento fuori dagli schemi.
Azrael è l'unico che ho trovato un po' troppo veloce nella narrazione: parla di una battaglia tra l'arcangelo Azrael e Belial, il braccio destro di Lucifero, che si conclude rapidamente, cosa che pare sminuire l'importanza dell'evento, che in realtà è determinante. 
Nel complesso, però, questi tre flash d'azione hanno contribuito a riaccendere in me la curiosità di leggere sviluppi ulteriori di questa saga, di scoprirne nuovi risvolti. Spero che un sequel possa presto permettermelo.


VOTO                                           

mercoledì 4 gennaio 2017

Ricordi dal sottosuolo - Fedor Dostoevskij

Ricordi dal sottosuolo - Fedor Dostoevskij
Pagine: 142
Edizione:  Feltrinelli
Titolo originale: Zapiski iz podpolja


RECENSIONE                                                    
Voglio salutare il 2017 con la recensione di una delle maggiori opere di Dostoevskij, nonchè una delle mie ultime letture del 2017.
Ho incontrato Dostoevskij per la prima volta con Le notti bianche, una lettura molto piacevole e ricca di significati filosofici, ma che dal punto di vista narrativo si presenta comunque molto semplice e breve. Avevo voglia di qualcosa che fosse di più. L'occasione è arrivata quando mia madre mi ha regalato L'idiota, un volume imponente di tantissime pagine che ho letto durante l'estate libera dopo la maturità e che mi ha lasciata incantata per la maestria nel gestire gli intrecci e la forza caratteriale dei personaggi. Le mie aspettative sono andate aumentando, ma non mi aspettavo che il mio giudizio positivo sull'autore subisse una tale esplosione in positivo dopo la lettura di Ricordi dal sottosuolo. Comincerei elogiando la struttura geniale del libro. Come ne L'idiota, le prime pagine sono le più pesanti ma anche le più importanti: esse servono da fondamenta di tutto il resto del libro, per preparare il terreno allo sviluppo della trama. La prima parte "Il sottosuolo" è completamente astratta. Scritta con il metodo del monologo interiore ci introduce senza mezzi termini nella mente del protagonista, che espone il suo stile di vita, le sue teorie esistenziali e filosofiche con cui si relaziona alla vita, o meglio rifiuta di relazionarvisi. Egli sta rinchiuso nel sottosuolo, ovvero in una condizione di chiusura nell'odio e in se stesso, ovvero in un nucleo malato, fatto di egoismo e disperazione. Si capisce nel corso della storia che egli, a dispetto di ciò che fieramente afferma, vorrebbe uscire da questa condizione, ma non ne è capace perchè tenta di superare lo stallo utilizzando le stesse armi con cui vi si rintana: nell'amore, o anche solo nei più semplici rapporti di convivenza, nel condividere il marciapiede con un uomo altolocato egli ricerca sempre di imporre il proprio io sugli altri. La soluzione, per Dostoevskij, sta nel rapporto di completa comunione con gli altri, che si raggiunge solo grazie al sentimento dell'amore cristiano. Questo dovrebbe bucare e far esplodere la bolla di individualità in cui l'uomo è però necessariamente rinchiuso: la situazione appare quindi senza reale via d'uscita, la soluzione resta un'utopia.
Nella seconda parte, "A proposito della neve fradicia", si vede in applicazione concreta ciò che prima era stato solamente teorizzato. Il personaggio vive diverse esperienze, quelle che lo porteranno in seguito così convintamente a rintanarsi nel suo buco, in cui si nota la sua incapacità di rapportarsi con l'esterno, la sua incoerenza, la sua impulsività, quell'istinto viscerale che da dentro gli urla di farsi valere sull'altro, di dimostrare quanto egli è grande. L'unica possibilità di speranza per l'uomo è il rapporto con Liza e con lei il protagonista percepisce già il calore della vita reale, la possibilità di uscire finalmente alla luce, ma non corre il rischio: talmente intrappolato nelle proprie convinzioni e morbose, autodistruttive ideologie, egli non è in grado di accettare la prospettiva di un rapporto alla pari. In questa parte, Dostoevskij ha la capacità di avvinghiare il lettore alle pagine, facendolo imprecare a gran voce contro quest'uomo meschino e così cieco davanti a tutto ciò che potrebbe migliorargli la vita con la facilità e leggerezza di un soffio, così annebbiato dal proprio ego artificiale da non accorgersi che ci sarebbero strade molto più semplici da prendere se solo sbattesse un po' gli occhi per togliere la condensa che li ricopre. Soprattutto al finale, sono rimasta sconvolta dal suo comportamento talmente infimo da non sembrare nemmeno umano. Ma la cosa ancora più sconvolgente è che nelle sue invettive alla società e alla gente comune che accetta le regole del gioco pur di non rimanere chiusa nel sottosuolo, mi sono sentita presa in causa, così come si dovrebbe sentire preso in causa ognuno di noi. Noi che guardiamo dall'alto quest'uomo così assurdo, che pensiamo di fare tutto nel modo giusto e convenzionalmente accettato siamo quelli a cui la sua rabbia si rivolge. Tutti coloro che si affidano a una mentalità razionalistica che ha fiducia nell'uomo e crede che questo segua, bene o male, sempre la morale sono quelli che stanno al di là del muro che l'uomo del sottosuolo non vuole scavalcare. In altri passaggi, invece, mi sono sentita io come parte del sottosuolo, e tutti avrebbero dovuto sentirsi come me, perchè fa parte dell'uomo lasciarsi guidare dai propri bisogni egoistici. L'umanità appartiene sia ad un polo che all'altro: è lacerata dalla lotta tra i due principi, e nella maggior parte dei casi è vero che prevale sempre l'egoismo. Chi nega ciò, molto spesso si è solo autoconvinto di possedere una virtù in realtà illusoria. È un libro che mi ha suscitato forti emozioni, mi ha sconvolto internamente, provocandomi continui conflitti interiori su cosa sia giusto e sbagliato. Mi ha mostrato una faccia dell'uomo così comune, ma che eppure, fino a questo momento, nessuno aveva descritto in modo così esatto. È un'opera esistenziale e ricca di contenuto filosofico, ma che non resta su un piano astratto, bensì parla ad ognuno di noi con una forza che gli oltre centocinquant'anni che ci separano dalla sua nascita non sono stati in grado di affievolire. 



VOTO