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domenica 15 febbraio 2015

Cinquanta sfumature di grigio - E.L. James

Cinquanta sfumature di grigio - E.L. James
Pagine: 548
Edizione: Mondadori
Titolo: Fifty shades of grey


TRAMA                                                                        
Quando Anastasia Steele, graziosa e ingenua studentessa americana di ventun anni incontra Christian Grey, giovane imprenditore miliardario, si accorge di essere attratta irresistibilmente da quest'uomo bellissimo e misterioso. Convinta però che il loro incontro non avrà mai futuro, prova in tutti i modi a smettere di pensarci, fino al giorno in cui Grey non compare improvvisamente nel negozio dove lei lavora e la invita a uscire con lui. Anastasia capisce di volere quest'uomo a tutti i costi. Anche lui è incapace di resisterle e deve ammettere con sè stesso di desiderarla, ma alle sue condizioni. Presto Anastasia scoprirà che Grey è un uomo tormentato dai suoi demoni e consumato dall'ossessivo bisogno di controllo, ma soprattutto ha gusti erotici decisamente singolari e predilige pratiche sessuali insospettabili...


RECENSIONE                                                                                                                   
Fin dal momento in cui è uscito nelle librerie ed è stato visto tra le mani di sempre più numerose lettrici e il suo titolo era nominato in sempre più conversazioni fino a diventare un best-seller internazionale grazie a concitati passa-parola, io sono stata fermamente convinta di non volerlo leggere. Non è il mio genere, trovo che la letteratura erotica cadda spesso nel volgare; i migliori blogger lo recensivano come un libro da poco e la trama mi sembrava abbastanza banale. 
Ma il 12 Febbraio il film ha bussato alle porte e la notizia ha cominciato a spargersi nelle città peggio della peste: ogni altro film che guardavo al cinema era anticipato da questo trailer, si trovavano le prevendite all'ingresso e grossi manifesti lo pubblicizzavano nelle librerie.
Ho deciso che l'avrei guardato, un po' condizionata dal fascino dell'attore principale e un po' dal fatto che un film di questo tipo avrebbe offerto una buona scusa per passare la classica "serata fra donne" con le amiche. Siccome non mi piace guardare un film senza aver letto il libro, mi sono decisa a provarci: l'ho iniziato. 
La storia, a smentita del detto "l'apparenza inganna", è poco originale come aveva lasciato intuire la trama; l'ho trovata decisamente monotona laddove molti la definivano "eccitante" e anche abbastanza prevedibile. All'inizio, nonostante girassi le pagine intuendo già cosa sarebbe accaduto, è inevitabile un lieve coinvolgimento, dato che la storia è sul nascere e tutto risulta nuovo, ma da un certo punto del libro in poi, scontato a dirsi, c'è solo sesso. Quel poco più che resta è, inoltre, altamente ripetitivo: Anastasia è combattuta tra il firmare o no il contratto che Mr. Grey le propone e continua a cambiare idea fino a diventare quasi esasperante; lui, d'altro canto, è volubile e incomprensibile, alternando atteggiamenti a mio parere violenti e irrispettosi, con altri eccessivamente premurosi. 
I personaggi sono visti e rivisti, come maschere di una commedia latina, che mantevano la "facciata" cambiando solo l'indossatore, e sono poco precisi e caratterizzati, come se un disegnatore maldestro li avesse rappresentati sulla carta sbavando i contorni: lei è la classica giovane ingenua, che non ha esperienza dell'amore e si limita a viverlo tra le pagine della letteratura inglese. Una Biancaneve moderna con gli occhi da cerbiatta, lo sguardo un po' perso e l'aria di essere una candida bambina indifesa, che mostra quanto il mondo la spaventi mordicchiandosi ossessivamente il labbro. Lui è il classico miliardario in giacca e cravatta, circondato da segretarie bionde disposte a tutto pur di ammirare a distanza la sua trascendentale bellezza. Un uomo fatto da sè (anche se non si riesce proprio a capire, in più di 500 pagine, che lavoro faccia), indipendente e autoritario che, ovviamente, si innamora dell'anonima ragazza di periferia, per la quale sviluppa istinti ossessivi, decisamente rientranti nella categoria dello stalking. Nel momento in cui si conoscono, come durante un fenomeno fisico di equilibrio termico, alcuni elementi di Christian Grey passano ad Anastasia e viceversa: lui acquista un briciolo di dolcezza, in mezzo a tutto il groviglio di vizi estremi che si porta dentro, e lei mostra un'inaspettata convinzione su certi aspetti, ma entrambi hanno sempre attitudini poste sul filo del rasoio, che potrebbero cambiare da un momento all'altro.
Mi è piaciuto il fatto che Ana non si sia lasciata sottomettere al cento per cento e abbia dato anche il suo contributo nella relazione, riuscendo a cambiare il rigido ed apparentemente immutabile Grey, nonostante i pensieri della sua vocina interiore siano un abominio per il femminismo mondiale. Infatti, seppur talvolta si dimostri abbastanza decisa, la sua interiorità, la sua mente sembrano totalmente soggiogate all'attraente maschio alfa.  Alcuni dialoghi si salvano dalla prevedibilità di tutto il resto, risultando allusivi, stuzzicanti, anche abbastanza intelligenti e ben pensati, ma vengono sminuiti nel momento stesso in cui, negli inframmezzi, compaiono i pensieri di Ana, estasiati come davanti ad una visione mistica, ma limitati a dei semplici "Oddio" o a dei ridicoli richiami a sè stessa come "Riprenditi, Miss Steele!". La narrazione ha il suono della sua voce e della sua testa: chi ci parla è, infatti, Ana in prima persona e al presente; scelta un po' banale e sconsigliata che, insieme alla scrittura acerba e al lessico povero, fanno crollare il livello della lettura. 
Il finale è anche meglio di quanto pensassi, se non fosse che non si tratta di un termine definitivo, perchè questo è solo il primo libro della trilogia. 
E' sicuramente da premiare l'audacia della scrittrice che, pur essendo al suo libro d'esordio, non ha avuto peli sulla lingua e ha parlato senza censure di un argomento che per molti è un tabù, ma dal punto di vista letterario, nonostante sia da riconoscere l'influenza che il libro può avere sul lettore, penso che sia salvabile solo una piccola parte, in mezzo a un mucchio di altri difetti.


VOTO: 5

sabato 7 febbraio 2015

Il bambino con il pigiama a righe - John Boyne

Il bambino con il pigiama a righe - John Boyne
Pagine: 224
Edizione: RCS Libri
TItolo originale: The boy in the striped pyjamas


TRAMA                                                                            
Leggere questo libro significa fare un viaggio. Prendere per mano, o meglio farsi prendere per mano da Bruno, un bambino di nove anni, e cominciare a camminare. Presto o tardi si arriverà davanti a un recinto. Uno di quei recinti che esistono in tutto il mondo, uno di quelli che ci si augura di non dover mai varcare. 
Siamo nel 1942 e il padre di Bruno è il comandante di un campo di sterminio. Non sarà dunque difficile comprendere che cosa sia questo recinto di rete metallica, oltre il quale si vede una costruzione in mattoni rossi sormontata da un altissimo camino. Sarà doloroso e necessario accompagnare Bruno fino a quel recinto, fino alla sua amicizia con Shmuel, un bambino polacco che sta dall'altro lato della rete, nel recinto, prigioniero.


RECENSIONE                                                                                                                 
Auscit. Il Furio. Le parole e la loro potenza sono ciò a cui bisogna ricorrere per ricordare, richiamare in vita un tratto di storia che avrebbe dovuto essere eliminato nel passato, ma che non può essere eliminato adesso. Parole storpiate, parole che richiamano ad un passato terrificante, parole che passano attraverso un filtro di ignara innocenza: la mente di un bambino.
Pur avendo letto Se questo è un uomo, che è una testimonianza diretta, assistito all'impattante e fortissima Istruttoria di Peter Weiss e pur avendo guardato numerosi film sull'argomento, Il bambino
con il pigiama a righe mi ha angosciata e riempita di rabbia per ciò che leggevo. 
La Shoah, Auschwitz sono argomenti a cui non mi abituerò mai, che mi entrano dentro e mi fanno venire la pelle d'oca ogni volta, in modo particolare se a raccontare è un bambino di nove anni.
La narrazione, infatti, gioca un ruolo fondamentale. Sembra di scorgere la verità attraverso una coltre di nebbia, niente ci viene riferito in modo diretto. 
Bruno si guarda intorno e ciò che vede è semplicemente un mondo da esplorare, senza considerare la malignità inconcepibile che lo permea. Bruno partecipa alla visita di un "ometto coi baffi" di nome Hitler a casa sua senza sapere di chi si tratti, Bruno non capisce il motivo per cui tutta la sua famiglia debba trasferirsi dall'affascinante città di Berlino e alla desolata Auschwitz. Ammira la nuova uniforme del papà, il modo in cui tutti gli portano un reverenziale rispetto, ma quando a scuola la maestra gli domanda che professione eserciti, lui non sa rispondere. Il bambino esce dalla sua stanza da letto e trova il bagno occupato da un tenente, che trascorre lì la notte quando il suo babbo non c'è e alla mattina bisbiglia in un angolo con sua madre. Bruno si affaccia alla finestra e vede una grande costruzione recintata dal filo spinato con tante persone all'interno, vestite tutte allo stesso modo. Mi sono venuti i brividi, quando le sue parole innocue hanno descritto il "panorama", quando si è domandato perchè tutti portassero quel pigiama a righe e perchè alcuni uomini salutassero i soldati prostrandosi a terra, per poi essere portati via di peso; mi sono venuti quando ha chiesto al padre chi fossero quelle persone, per sentirsi rispondere "quelle non sono persone".
Ciò che rende il racconto ancor più terribile è proprio l'oggettività. Si può pensare che le testimonianze siano sempre sconvolgenti a causa del coinvolgimento emotivo di chi le riporta, ma quando la protagonista è l'obiettività impersonata da un bambino di nove anni, una bocca della verità non condizionata da giudizi adulti o dati a posteriori come i nostri, come si può restare indifferenti? La brutalità, la crudeltà, l'ignoranza e la cattiveria gratuita dei personaggi ne risultano immutati, se non peggiorati.
Dall'altra parte della recinzione, anche Shmuel vive la situazione inconsapevolmente ed è forse proprio per questo che riesce a sopportarla.
L'immagine dei due bambini della stessa età, nati nello stesso giorno ed anche simili fisicamente che si guardano attraverso una recinzione, potendosi a malapena toccare, vicini e al contempo distanti, è efficace, perfetta a dipingere due mondi opposti e separati da una sottile linea di confine. Due mondi in cui due bambini senza colpa sono stati sradicati dal loro luogo di nascita per essere portati in un covo di orrore e morte. La loro amicizia dimostra come i bambini nascano buoni e siano, poi, compromessi dalla società e dalla storia che inculca il pregiudizio nelle loro menti candide; il loro anormale rapporto mette in luce come gli eventi di questa portata travolgano anche, e soprattutto, chi non lo meriterebbe.
Il bambino con il pigiama a righe è un breve romanzo che si trova nell'area ragazzi della biblioteca, scritto a caratteri grandi e capitoli brevi, ognuno introdotto da un breve riassunto, come a introdurre una fiaba. Una copertina semplice, un libro all'apparenza innocuo. Io lo consiglierei, invece, anche agli adulti, agli adolescenti più maturi, ai lettori più audaci. Penseranno di affrontare una tematica pesante, ma affievolita e ammorbidita, e scopriranno di essersi sbagliati.


"E mentre lei era lì, un'ultima riflessione sorse nella mente del fratello che osservava le centinaia
di persone indaffarate laggiù: tutti quegli individui erano vestiti uguali.
Indossavano un pigiama grigio a righe e sulla testa portavano un berretto grigio a righe.
"Incredibile" borbottò, prima di distogliere lo sguardo.


VOTO: 8

venerdì 30 gennaio 2015

Magici amori a New York - Camilla Davies

Magici amori a New York - Camilla Davies
Pagine: 156
Edizione: Self publishing
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TRAMA                                                                    
Sophie, Josephine e Christine sono amiche da sempre, eppure non potrebbero essere più diverse tra loro. 
Sophie, timida e introversa giornalista, deve ancora riprendersi dal tradimento dell'ex-fidanzato, che continua a immischiarsi nella sua vita. Jo è un maschiaccio senza peli sulla lingua con il sogno di diventare una scrittrice. Christine, ricca di famiglia e sempre corteggiata dagli uomini, fa di tutto per attirare l'attenzione su di sè, e per sviare i sospetti dal suo segreto...fin quando un mazzo di tarocchi trovati in un vecchio negozio del quartiere di Nolita e una serata al Richardson Inn, uno degli hotel più chic di New York, stravolgeranno completamente le loro vite.


RECENSIONE                                                                                                         
Tre amiche, tre modelli comportamentali estremamente diversi fra loro.
Jo, ispanica dalla pelle olivastra e i capelli nero pece a fare pandant con il suo umore e il suo carattere cinico. E' la "dura", il maschiaccio, con la risposta sempre pronta e una forte ripugnanza verso ogni tipo di sentimentalismo.
Christine, ereditiera ricca e viziata, una Paris Hilton dai capelli rossi, forse un po' più intelligente. La classica ragazza che fa girare la testa agli uomini quando cammina sul marciapiede, le belle gambe lasciate scoperte da una minigonna.
A chiudere il cerchio c'è Sophie, un po' ingenua, timida e casta, fedele ad un amore non ricambiato.
Un trio di eccellenza, uno yin e yang diviso in tre spicchi, all'inizio del libro queste tre giovani donne sembrano le maschere fisse del teatro classico, i flat characters della commedia inglese, talmente definite e circoscritte nel loro ruolo da risultare quasi eccessive e innaturali. Ma all'ingresso del Richardson Inn avviene una trasformazione, si tolgono i costumi di scena e acquistano un'umanità che ce le fa sentire più vicine, più reali. I loro atteggiamenti vengono sviati, fuoriescono dai rigidi binari su cui viaggiavano; spesso mi sono ritrovata a pensare che nella loro situazione avrei detto la stessa cosa o avuto le stesse reazioni. 
Quella di mutare le nostre protagoniste non è l'unica influenza dell'hotel. E' particolare vedere come un luogo possa essere essenziale per lo sviluppo di eventi che magari in un altro posto non potrebbero accadere: l'albergo di lusso sembra rappresentare un mondo a parte, un'isola separata dal resto in cui si convogliano energie superiori che tirano i fili e gestiscono uno spettacolo di burattini. E' il gioco del destino quello che si fa prepotentemente strada nei corridoi del Richardson Inn, gli stessi corridoi che Jo, Christine e Sophie percorreranno separatamente, dopo esser state sempre inseparabili, insieme a qualcun altro. Una parte di esse si svincola dal legame che le stringe e si affida a qualcun altro: è così che il gioco del destino si incontra con quello dell'amore. 
Un fulcro, un centro.
Un nido d'amore, un giardino dei sensi.
Un'altra particolare ambientazione, anch'essa rivestita da un clima un po' esoterico e magico, è il 
negozio della nonna di Jo. Non posso nascondere che la sua descrizione ha stuzzicato la mia curiosità, in quanto amante dei negozietti sperduti e stipati di oggetti in cui non sai mai cosa potresti trovare. Nel retro, si leggono i tarocchi e si beve tè, un hobby abbastanza inusuale che sembra del tutto fuori luogo con il resto, un elemento aggiuntivo inserito per aggiungere qualche dettaglio. Ma proseguendo nella lettura, anche la sibillina previsione delle carte trova il suo posto, aggiungendo un pizzico di magia e mistero.
Cosa dirige le nostre vite? Il destino o le coincidenze? La magia, il caso?
Mentre ci interroghiamo, ci vengono raccontate le dinamiche, le strade piene di tornanti percorse per arrivare al climax finale, uno scoppio d'emozione vissuto da ognuna delle tre in modo diverso e infine tutto ci riconduce al retro del negozio, lo stesso in cui si è giocato con i tarocchi e la magia, quasi a fornirci una soluzione.
Il lieto fine ci raggiunge fresco, permeato di un'atmosfera da isola felice su cui svolazza una polverina dorata, il pizzico di magia che condisce la vita e l'amore. Un breve romanzo di due produttivissime autrici, che decidono di aumentare il mistero utilizzando uno pseudonimo, che non può essere descritto se non con quegli aggettivi che ormai gli si addicono per tradizione: leggero, scorrevole e piacevole.


VOTO: 7

domenica 25 gennaio 2015

Uomini e topi - John Steinbeck

Uomini e topi - John Steinbeck
Pagine: 118
Edizione: Bompiani
Titolo originale: Of mice and men


TRAMA                                                                   
Uomini e topi è un breve romanzo, ricco di dialoghi. Protagonisti, due lavoratori stagionali, George Milton e l'inseparabile Lennie Small, un gigante con il cuore e la mente di un bambino, che il destino e la malizia degli uomini sospingono verso una fine straziante. 
Il ritratto di un'America stretta dalla sua peggiore crisi economica nella drammatica rappresentazione di un maestro.


RECENSIONE                                                               
Nella lista della BBC dei 100 libri da leggere prima di morire, questo piccolo romanzo di John Steinbeck è il primo che ho deciso di affrontare.
Uomini e topi, un titolo famoso, che a sentirlo suona familiare, ma di cui non mi ero mai curata. E' un
piccolo libricino che passa inosservato, letto in una mattinata vuota di scuola. Se per giudicarlo mi basassi sulla superficie, vi direi che si tratta di una storiella dialogata scorrevole, drammatica, che ci fa sorridere tristemente, ma che si dimentica dopo aver chiuso il libro. 
Andiamo invece in profondità, studiamo i fondali nascosti negli spazi bianchi fra le parole.
Innanzitutto la narrazione dialogata non è fine a sè stessa. L'autore sceglie di riportare conversazioni su conversazioni, di racchiudere nelle nuvolette da fumetto le parole dei protagonisti, perchè è un'opera scritta per i braccianti della California, un pubblico non istruito e non alfabetizzato, che ha bisogno di basarsi sul reale, di toccare con mano le parole grevi dei personaggi. Il dialogo, inoltre, è uno strumento utilissimo per entrare nella psiche della gente: la parola è ciò che ci distingue dalle bestie. Da come parliamo, da ciò che diciamo traspare l'immagine che vogliamo dare di noi stessi. Ed è in questo modo che ci vengono illustrati i "tipi" di questa storia. Parlo di "tipi", perchè sembra di avere a che fare con dei veri e proprio modelli comportamentali; nell'involucro della persona sta racchiusa un'unica qualità che la riempie tutta. Innocenza, tentazione, arroganza, insensibilità. Questi vocaboli sono imprigionati in corpi, a loro volta chiusi in un desolato ranch. 
Lennie Small ha un nome ironico, che sembra quasi prendersi gioco di sè stesso. E' un nome simbolico, che rispecchia l'immagine che gli altri si fanno di lui. Lennie è un uomo grande e grosso, ma con la mente pura e ingenua di un bambino. E' come se quel cognome volesse avvertirci di non farci spaventare dall'apparenza di gigante, che in realtà quel corpo non è mosso da altro che un piccolo cervello incapace di funzionare nel modo giusto. In realtà, tutta quella grandezza contiene innocenza. Carente di intelligenza, Lennie porta dentro di sè qualcosa che gli altri uomini hanno perso: possiede inconsapevolmente un tesoro inestimabile, che gli adulti, corrotti dal mondo, non riescono a comprendere e ad apprezzare. 
Curley è il "cattivo", sua moglie la tentatrice. Il serpente del giardino dell'Eden. Entra nella storia attraversando simbolicamente l'uscio della camerata del ranch, senza chiedere permesso, spezzando il fascio della luce del sole che filtrava all'interno. Unica figura femminile in mezzo ai lavorati, sembra avere al principio un ruolo marginale, di frivola ragazza viziata che ama farsi corteggiare. Si rivela,
poi, decisiva per la sorte dei protagonisti, una Parca tessitrice dei fili del destino come nella mitologia greca. 
Il destino è, appunto, uno dei temi principali che questa storia ci offre senza dircelo apertamente: ne veniamo a contato indirettamente, attraverso gli eventi che realmente accadono, prepotentemente contrastanti con i sogni di libertà. Il vero fulcro è il sogno, l'illusione; il destino ne rappresenta solo la rottura, il crollo di un castello di aria, la terra che si apre in uno squarcio e ci fa ricadere violentemente nella realtà. Il sogno è una cura; la speranza è il cerotto, la consolazione che permette di andare avanti. Le parole ci credono, ne parlano convinte e convincenti, ma la mente non ci casca, è consapevole del piccolo tarlo della rassegnazione che si fa strada al suo interno. 
Ultimo, ma non meno importante argomento è quello del rapporto con la diversità. Oltre all'evidente scherno nei confronti dello sciocco Lennie, è rappresentata anche l'attitudine razzista nei confronti del vecchio Crooks. Non può entrare nella stanza in cui tutti gli altri dormono, vive isolato in una stanzetta a fianco della stalla e ricambia i pregiudizi altrui con riserbo e asprezza. Questo libro è l'affidabile rappresentazione di una realtà ingiusta, in crisi, permeata da umanità e bestialità, bontà genuina e malvagità immensa. 
Con un finale drammatico, spietato, ma terribilmente reale, questo piccolo libro sprigiona più forza di quanto possa sembrare, arrivando a stringerci il cuore.


VOTO: 8

giovedì 22 gennaio 2015

If I stay - Gayle Forman

If I stay - Gayle Forman
Pagine: 196
Edizione: Speak
Titolo italiano: Resta anche domani


TRAMA                                                                         
Non ti aspetteresti di sentire anche dopo. Eppure la musica continua a uscire dall'autoradio, attraverso le lamiere fumanti. E Mia continua a sentirla, mentre vede se stessa sul ciglio della strada e i genitori poco più in là, uccisi dall'impatto con il camion. 
Mia è in coma, ma la sua mente vede, soffre, ragiona e, soprattutto, ricorda. La passione per il violoncello e il sogno di diventare una grande musicista, l'ironia implacabile di Kim, l'amore di un ragazzo che sta per diventare una rockstar e la prima volta che, tra le sue mani, si è sentita vibrare come un delicato strumento. Ma ricorda anche quello che non troverà al suo risveglio: la tenerezza di suo padre, la grinta di sua madre, la vivacità del piccolo Teddy, l'emozione di vivere ogni giorno in una famiglia di ex batteristi punk e indomabili femministe. A tanta vita non si può rinunciare. Ma cosa rimane di lei, adesso, per cui valga la pena di restare anche domani?


RECENSIONE                                                                     
Un incidente stradale. Un imprevedibile, inaspettato incidente stradale. 
La morte che ti bussa sul finestrino, o che lo sfonda prepotentemente. Un giro in macchina con la famiglia in una giornata di neve che si trasforma in tragedia. Mia perde tutto, o quasi.
Nell'attimo di confusione che segue l'impatto, capisce di aver perso il padre, la madre e il piccolo fratellino e di essere sdoppiata in due immagini di sè stessa: c'è Mia ferita dall'incidente, trasportata in ospedale in una condizione di coma e c'è Mia che guarda la scena dal bordo della strada, spaventata, disorientata e soprattutto consapevole, trasformandosi nell'io narrante della storia. E' come se, lì in piedi sull'asfalto, stesse guardando un drammatico film, recitato da qualcuno di estraneo e che racconta una storia che non le appartiene e all'improvviso vi si trovasse catapultata dentro, attrice protagonista senza copione.
Mentre si guarda sul lettino d'ospedale, emaciata e ricoperta di tubi, si scatena dentro di lei una lotta interiore: restare o andarsene? E' una domanda che ci siamo fatti tutti, in tanti differenti contesti. E' la questione che ti poni quando tutto sembra cadere a pezzi, e non sai se mollare o se continuare a sperare che qualcosa possa cambiare. 
Ha perso i genitori, ha perso il fratello. Ma qualcosa è rimasto.
E' rimasto il suo violoncello, l'amore a prima vista sbocciato in sala musica, come quello per Adam, il suo ragazzo chitarrista in una rock band. E' rimasta Kim, la sua migliore amica conosciuta grazie ad una scazzotata, ed è rimasto un nonno silenzioso, ma fiero della sua nipotina. 
E' particolarmente interessante vivere il dilemma da una prospettiva interna, da questa Mia fisica e corporea, anche se trasparente agli occhi degli altri, e allo stesso tempo dalle prese di posizione dei vari personaggi che, a turno, fanno visita al suo capezzale. Particolarmente toccanti sono i monologhi del nonno, l'unico a comprenderla per davvero e a compiere un atto di grande generosità e amore incondizionato, e quello di Adam, fortemente ed egoisticamente innamorato di lei e che non vuole lasciarla andare. 
Nonostante queste chiacchierate a senso unico siano molto toccanti, la narrazione generale cade dal punto di vista del lessico un po' superficiale. Con un linguaggio metaforico o ricco di immagini, che scava nel profondo, arrivando a toccare corde sensibili, questa storia sarebbe stata un'emozione condensata.
Insieme agli eventi del presente, pressurizzati tutti tra le opprimenti pareti bianche dell'ospedale, ogni capitolo contiene un flashback in cui Mia rompe i muri e spazia nel passato, facendo scorrere la pellicola cinematografica dalla scuola, alla vita in famiglia e soprattutto alla musica.
La musica è una costante che accompagna la lettura, come se ci fosse un'inavvertibile colonna sonora ad accompagnarci. E' un caos di note musicali, in cui si mescola la dolce classicità del violoncello al brillante suono di una chitarra; il silenzio e la pace del palcoscenico di un teatro durante una rappresentazione musicale e l'adrenalina che pervade il pubblico di un pub durante un concerto rock.
E c'è la musica di un passato ancora più remoto, la musica del padre, batterista e compositore. Una canzone in particolare ossessiona Mia, sembra parlare e suggerirle una soluzione.
"Ho deciso di partire
da un momento all'altro me ne andrò
non sto scegliendo
ma sono stanco di lottare"
Resta solo da decidere se seguire il ritornello, o restare anche domani.
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/libri/frase-84785?f=w:2831>Resta solo da decidere se seguire quel ritornello, o se restare anche domani.



"Se resti, farò tutto quello che vorrai.
Mollerò il gruppo, verrò a New York con te. Se non vorrai avermi intorno, me ne andrò.
Sono disposto a perderti così, se non ti perdo oggi. 
Ti lascerò andare.
Se resti."


VOTO: 8

martedì 20 gennaio 2015

The silver linings playbook - Matthew Quick

The silver linings playbook - Matthew Quick
Pagine: 289
Edizione: Sarah Crichton Books


TRAMA                                                                          
Pat Peoples è convinto che la sua vita sia un film prodotto da Dio. La sua missione? Diventare fisicamente tonico ed emotivamente stabile. L'inevitabile happy ending: il ricongiungimento con la moglie Nikki. Questo l'ha elaborato durante il periodo nel "postaccio", la clinica psichiatrica dove ha trascorso un tempo che non ricorda, ma che deve essere stato piuttosto lungo. Infatti, ora che è tornato a casa, molte cose sembrano cambiate. Nessuno gli parla di Nikki, i suoi amati Philadelphia Eagles continuano a perdere, i suoi vecchi amici sono tutti sposati, è perseguitato dalla strana Tiffany e il suo nuovo terapista sembra consigliare l'adulterio come terapia.


RECENSIONE                                                                                                                  
"Every cloud has a silver lining"  è un proverbio che significa che ogni difficoltà, ogni causa di dolore contiene un potenziale risvolto positivo. Quale libro migliore da iniziare il primo Gennaio, nell'atmosfera piena di buoni propositi e speranza in un anno migliore?
E' questo che mi ha spinto ad entrare nel mondo scritto a parole di Pat Peoples, nonostante ne avessi già visto e amato la rappresentazione cinematografica del 2012 con l'eccezionale interpretazione di Bradley Cooper e Jennyfer Lawrence.
Entrare nella mente di una persona non è cosa semplice. Ancor meno lo è, quando questa persona è in cura presso una clinica psichiatrica, a causa della sua instabilità mentale ed emotiva.
Pat Peoples mi ha ricordato un po' Bartleboom di Oceano mare, che ogni sera scrive lettere senza destinatario, convinto che un giorno troverà qualcuno a cui consegnarle. Allo stesso modo, Pat dona i suoi giorni a Nikki, cerca di farglieli rivivere attraverso le parole, dal momento che non li hanno potuti vivere insieme. Nikki è la sua ex moglie, da cui ha divorziato e con la quale non deve entrare in contatto a causa di un ordine restrittivo. Ma tutto ciò, Pat non lo ricorda. Nikki è come un fantasma, la cui assenza permea tutto il romanzo, più forte di una presenza; è vicina e ancora raggiungibile nella mente e nel cuore di Pat, è la sua motivazione e la forza che lo sprona a fare di sè stesso un uomo migliore. E' un pensiero ossessivo, da bambino ingenuo che suscita compassione nel lettore, che vorrebbe infilarsi nelle pagine, urlargli di aprire gli occhi.
Nikki rappresenta la meta finale di un percorso prestabilito, percorribile attraverso ore di corsa e di allenamento quotidiano nello scantinato, attraverso il controllo di sè stesso e degli sfoghi di rabbia. Come quei sentieri di montagna che si insinuano fra l'erba alta, si tratta di un percorso già definito, voluto da Dio che con la sua matita spietata ne traccia il disegno provvidenziale, un disegno in cui tutto avviene per il meglio. Questa visione del mondo mi ha ricordato Pangloss, il personaggio di Candido di Voltaire, il cui ottimismo estremo e un po' ipocrita lo fa apparire come uno stolto. 
Su questo punto, ho notato una differenza esagerata con il film, e nonostante ci sia ormai la tradizione del "libro necessariamente migliore", in questo caso è vero il contrario. 
La continua illusione di Pat perdura per tutto il libro e sembra risolversi solo nelle ultimissime pagine e nemmeno in modo tanto chiaro. Non passa il gioioso messaggio di positività che il titolo stesso ci aveva anticipato. Il film, invece, trasmette ottimismo in modo assolutamente diretto ed esplicito; non lo si può guardare rimanendo indifferenti, ti strappa un sorriso e ti sprona a tenertelo stampato sul volto più spesso.
Un'altra pecca è la ripetitività. I giorni di Pat si fondano su un'intoccabile routine, monotona, comune e povera di eventi degni di nota; la narrazione si fa a tratti pesante, soprattutto quando si concentra specificatamente sul football americano, un'altra costante della quotidianità del protagonista. 
Il personaggio di Tiffany gioca, però, un ruolo di riscatto. Resa in maniera assolutamente perfetta da Jennyfer Lawrence nel film, anche nel libro è ben caratterizzata e rappresenta una figura di fondamentale importanza. E' una ragazza assolutamente fuori dal comune, ha un universo dentro: basti pensare all'anormale relazione che si crea tra lei e Pat. E' un rapporto di vera e propria distanza ravvicinata, nel senso letterale del termine: i due sono spesso vicini, ma mai troppo. Si sfiorano, si studiano, siedono allo stesso tavolo restando in silenzio, convivendo con la mera presenza dell'altro e l'impassibilità della superficie lascia aperto un piccolo spiraglio che permette di intravedere un bocciolo nel profondo, pronto a schiudersi. 
E' un vero peccato che questa lettura mi sia risultata per certi aspetti totalmente indifferente. Considero Il lato positivo uno dei miei film preferiti ed ero certa che una commedia così brillante e profonda derivasse da un piccolo capolavoro. 
In un secolo di ansie, aspettative e depressione, l'ottimismo e la positività sono tematiche degne di una sensibilità estrema e la narrazione di questo libro, a mio parere, è troppo lenta e poco toccante per esserne all'altezza. 


VOTO: 5

lunedì 29 dicembre 2014

Palomar - Italo Calvino

Palomar - Italo Calvino
Pagine: 112
Edizione: Oscar Mondadori


TRAMA                                                                            
Palomar, dapprima in vacanza, poi in città ed infine immerso nei suoi silenzi, conduce per mano il lettore illustrandogli un nuovo metodo di approccio al mondo ed è attraverso le sue osservazioni forzate fino al più piccolo particolare che Calvino conduce il lettore verso aspetti diversi dell'esistenza: dalla più banale delle cose, come il riflesso del sole sul mare, sino ai più affascinanti misteri quali le iscrizioni tolteche a Tula in Messico...


RECENSIONE                                                                
Palomar è un libro suddiviso in tre sezioni principali: Le vacanze di Palomar, Palomar in città, I silenzi di Palomar. Ognuna di queste sezioni è suddivisa in tre sottinsiemi, suddivisi a loro volta
in altre tre parti. Un'organizzazione sistematica, che fa pensare ad una struttura architettonica rigida e immobile, all'interno del quale vive un unico inquilino: Palomar, il protagonista di questo libro, un protagonista che non ci viene mai descritto fisicamente. E' solo un signore dal nome simbolico, il nome di un osservatorio astronomico, una lente d'ingrandimento, un occhio quasi robotico che, nonostante la sua miopia, vede più a fondo di chiunque altro e studia il mondo nei suoi dettagli più trascurabili. Un individuo il cui Io "non è altro che la finestra attraverso la quale il mondo guarda il mondo.", un Io depersonificato che trascura sè stesso per fondersi con ciò che lo circonda.
In un libro in cui non ci viene lasciato nessuno spazio di immaginazione, perchè tutto ciò che si può immaginare sta già scritto nelle pagine, l'unica libertà che l'autore ci lascia è quella di dare un volto a questo signore. Io me lo sono immaginata come un signore anziano dallo sguardo buono, come quei signori che talvolta incontri sull'autobus o ai giardini, mentre camminano lentamente con le mani dietro la schiena e si guardano attorno, vigili. 
Palomar è una miscela di vista e intelletto, nella mia testa ha la fronte spaziosa e due occhi enormi, coperti da occhiali altrettanto grandi. E' un solitario taciturno: la gente e le parole sono elementi di disturbo per chi viaggia sempre con la mente.
Palomar "volendo evitare le sensazioni vaghe, si prefigge per ogni suo atto un oggetto limitato e preciso" e lo studia in tre modi differenti. Talvolta, si tratta di un'osservazione analitica di un'onda, della vista dal suo terrazzo o della corsa sgraziata di una giraffa. In questi casi i racconti diventano un insieme di descrizioni estremamente accurate che sembrano aver tralasciato il tempo, osservando al rallentatore la superficie delle cose. 
Altre volte, invece, l'occhio non si limita a guardarle, vi passa attraverso, vi guarda all'interno. Da analitica, l'osservazione diventa anatomica, studia le viscere delle cose, che siano la pancia trasparente di un geco che inghiotte una farfalla, teschi e serpenti disegnati sulle pareti di un tempio di Tula o i formaggi esposti in un negozio alimentare di Parigi. Palomar si limita ad interrogarsi sui significati che ciò che vede si porta appresso, senza mai parlarne o dargli una forma, svalutando il discorso che rischierebbe solo di svalutare qualcosa di grande risonanza.
Il terzo modo, invece, è un'osservazione che non passa più attraverso gli occhi, ma attraverso la mente. Gli enti visibili diventano trampolini di lancio verso l'universo; Palomar coglie questi impulsi e si spinge oltre, a filosofeggiare sull'infinito, sul tempo o sulla vita in generale.
Ora, immaginate tutto questo raccontato dalle parole di Calvino, in una maestria di scrittura in cui ogni frase è al posto giusto e si concatena perfettamente con le seguenti, senza lasciare niente al di fuori, creando una catena di concetti talvolta estremamente difficili da districare, ma pur sempre fortemente evocativi. I racconti che leggiamo non sono semplici analisi, sono dimostrazioni dell'immenso potere della mente. Calvino crea mondi così fantasiosi e così ricchi che ad un certo punto il letto su cui stavo leggendo non è più bastato. Mi sono dovuta spostare sul tappeto, anche se erano le undici di sera e faceva freddo fuori dalle coperte, il letto non era più sufficiente. Avevo bisogno di uno spazio più aperto, di respirare più liberamente, di essere anche solo minimamente più in contatto con questo universo che veniva raccontato e che io avevo sempre considerato solo in parte.
Questo libro è una torre, ogni capitolo è uno scalino che da su una porta, e ogni porta si apre su una stanza in cui è racchiuso tutto, tutto quello a cui non abbiamo mai dedicato più di un'occhiata superficiale. Si continua a salire fino all'ultima parte, I silenzi di Palomar, che io ritengo la più bella in assoluto. Bella è un aggettivo che le maestre fin dalle elementari ti dicono di evitare, perchè è banale, perchè è riduttivo, ma è anche l'unico che mi viene in mente. Dopotutto è lo stesso Palomar a dire che le parole, talvolta, sono carceri per i grandi pensieri che ci teniamo in mente.
Sicuramente la migliore lettura del 2014 che mi è capitata tra le mani, quasi provvidenzialmente, proprio agli sgoccioli di questo anno.


"Quando Palomar s'era accorto di quanto approssimativi e votati all'errore sono i criteri di quel mondo dove credeva di trovare precisione e norma universale, era tornato lentamente a costruirsi un rapporto col mondo limitandolo all'osservazione delle forme visibili; 
ma ormai lui era fatto com'era fatto: la sua adesione alle cose restava quella intermittente
e labile delle persone che sembrano sempre intente a pensare a un'altra cosa
ma quell'altra cosa non c'è."


VOTO: 9,5