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sabato 13 dicembre 2014

Non avevo capito niente - Diego De Silva

Non avevo capito niente - Diego De Silva
Pagine: 314
Edizione: Einaudi


TRAMA                        
Vincenzo Malinconico è un avvocato napoletano che finge di lavorare per riempire le sue giornate. Divide con altri finti-occupati come lui uno studio arredato con mobili Ikea, chiamati affettuosamente per nome, come fossero persone di famiglia. E' stato appena lasciato dalla moglie, ma cerca con ogni mezzo di mantenere un legame con lei e i due figli adolescenti. 
Un giorno viene improvvisamente nominato d'ufficio di un becchino di camorra detto "Mimmo o' burzone" e, arrugginito com'è, deve ripassarsi il Bignami di diritto. Ma ce la fa, e questo è solo il primo dei piccoli miracoli che gli capitano. Il secondo si chiama Alessandra Persiano: la pm più bella del tribunale, che si innamora di lui e prende a riempirgli la vita e il frigorifero. E intanto Vincenzo riflette sull'amore, la vita, la delinquenza, la musica: su tutto quello che attraversa la sua esistenza e la sua memoria, di deriva in deriva.


RECENSIONE                         
Non avevo capito niente, Sono contrario alle emozioni, titoli che parlano da soli, non c'è bisogno di aggiungervi molto. Dopo la lettura di Mancarsi, ho deciso di conoscere meglio l'autore e mi sono fiondata su questo, quasi istintivamente, forse per la silhouette nera della donna in copertina. Una donna anonima, solo una forma senza volto; sulla copertina di Mancarsi era di spalle, sembrava che
scappasse; qui incede con passo deciso e testa alta. Si tratta, chissà, di un indizio che l'autore vuole darci e che noi possiamo decifrare solo dopo aver letto il libro: Irene era fragile e persa, in cerca di qualcosa, mentre scappava da altro; Nives è forte, autoritaria ed emancipata, quella che chiameresti una donna-coi-pantaloni e che non oseresti mai contraddire. Poi c'è Alessandra Persiano, figura quasi mitologica e leggendaria, una dea greca del tribunale. Il narratore, in prima persona, si riferisce a lei con nome e cognome, soggetto quasi a un timore reverenziale e, al contempo, con una punta di affetto celato, un po' come un Augustus Waters di Colpa delle stelle. "Hazel Grace" la chiama, quasi a farle un dispetto.
Le figure maschili, nei due libri, sono invece abbastanza simili. Entrambi adulti; entrambi insoddisfatti e scontenti della vita. Nicola e Vincenzo, entrambi soli dopo un matrimonio finito, per una ragione o per l'altra.
Se i dettagli si legano, però, i due libri in generale sono qualcosa di completamente differente. 
Mancarsi era formidabilmente denso per la sua brevità, meno dispersivo. Tralasciava la narrazione per concentrarsi sui concetti, che arrivano al lettore come frecce. Raccontava una realtà estendibile ad un pubblico vasto, parlava di emozioni comuni agli adolescenti e agli adulti. 
Non avevo capito niente è tutta un'altra cosa, anche se ogni tanto fa capolino, tra le righe, una riflessione celata con cui l'autore sembra dirci: "sono sempre io, sto solo giocando a nascondino".
Scavando, infatti, la narrazione è riconoscibile. Il registro si alza e si abbassa come un elettrocardiogramma, ma mantiene sempre un linguaggio semplice ed estremamente ironico, che arriva a sfiorare, talvolta, il dialettale. Sia che stia riflettendo sulla vita, sulla morte, sulla musica, sulla separazione, sia che stia riferendo fatti quotidiani, Diego De Silva scrive come parla. E' il classico libro che, se letto ad alta voce, ha una risonanza fortissima, come se fosse pensato per una performance di teatro. 
A me, però, è comunque arrivato poco. Rappresenta un mondo lontano da quello di un adolescente, un mondo di cui io non ho ancora avuto esperienza, che non mi tocca nel profondo.
Vincenzo Malinconico, un nome che è tutto un programma, un'ironia intrinseca, è l'emblema dell'adulto irrealizzato, quasi vittima della sua stessa vita, in cui niente sembra andare nel verso giusto. Reduce di un divorzio e ancora innamorato della moglie, cerca in tutti i modi di mantenere i contatti, mentre dentro di sè svolge infiniti monologhi in cui un po' la ama e un po' la odia, immagina feroci litigi e ritorni di fiamma. Un protagonista dal cuore spezzato un po' stile Alta fedeltà, anche per il ruolo svolto dalla musica, a cui vengono dedicati interi capitoli, in cui Vincenzo ci spiega, perchè dobbiamo preferire Eugenio Finardi agli altri cantautori degli anni 60-70, per esempio.
Il lavoro è piatto e costruito, quella che appare come una brillante carriera di avvocato, cela in realtà un semplice studio arredato Ikea, in cui regnano la monotonia e i latrati di un cane nevrotico.
Nonostante, però, fossi abbastanza "impermeabile" agli argomenti trattati, c'erano momenti in cui, nelle pagine, si apriva un mondo. Vincenzo scava nella sua stessa mente, analizza e pensa, forse troppo. Un'altra cosa, perfettamente descritta, sono le relazioni interpersonali, di cui abbiamo svariate categorie. Il rapporto tra colleghi, il rapporto con i clienti; relazioni del tutto nuove con camorristi stranamente affabili e divertenti. Abbuffate padre-figlia, stringati discorsi con il figlio maschio e conflitti di qualsiasi tipo con il mondo femminile, un mondo in cui un amore appassisce, mentre un altro nasce.
Leggere questo libro è stato come guardare nella sfera di cristallo uno dei possibili futuri che mi attendono, come osservare al telescopio un pianeta a cui non appartengo, ma che trovo comunque interessante. 
E' un giudizio in sospeso, il mio, perchè a questo libro ho fatto la promessa di tornare tra qualche anno.


VOTO: 7-

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