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mercoledì 9 aprile 2014

Looking for Alaska - John Green

Looking for Alaska - John Green
Pagine: 221
Edizione: Penguin Group


TRAMA
Prima: L'intera esistenza di Miles "Ciccio" Halter è stata un grande non-evento, e la sua ossessione per le ultime parole famose gli ha fatto solo desiderare sempre di più il "Grande Forse" (Francois Rabelais, poeta). Si lancia, quindi, a capofitto nel possibilmente instabile, a volte pazzo e tutto-tranne-noioso mondo della scuola di Culver Creek e la sua vita diventa tutto tranne che sicura. Perchè alla fine del corridoio c'è Alaska Young. La splendida, intelligente, divertente, sexy, distruttiva, incasinata e completamente affascinante Alaska Young. Tira Ciccio nel suo mondo, lo lancia nel "Grande Forse" e gli ruba il cuore.
Dopo: niente è più come prima.


RECENSIONE
Inutile dire che John Green sia uno dei miei scrittori preferiti e che io lo stimi moltissimo per il suo modo di rappresentare l'adolescenza con sfrontato realismo. Cercando Alaska ne è l'esempio lampante.
L'avevo già letto due anni fa in italiano e, avendo preso la decisione di rileggerlo, ho deciso di farlo in inglese. Pensavo che, essendo più grande e avendo vissuto nuove esperienze dalla prima lettura, avrei potuto comprendere più a fondo tutti gli stati d'animo che l'autore voleva trasmettere. E così è stato.
La storia si apre subito con un cambiamento: Miles, il protagonista, lascia la Florida per andare a frequentare Culver Creek in Alabama. La localizzazione del college americano è una delle più gettonate per libri e film, che spesso finiscono per essere tutti uguali e cadere nel banale. In questo caso, invece, l'autore si concentra maggiormente sulle lotte interiori dei personaggi, lasciando che il lettore ne venga catturato talmente tanto da lasciare in secondo piano il resto. 
Quando Ciccio conosce Alaska, i suoi dubbi e i suoi drammi cresceranno a dismisura. 
Alaska Young non è una persona facile da amare, ma nonostante ciò, amarla è inevitabile. E' come una calamita all'interno del romanzo: tutti i protagonisti sono inevitabilmente guidati da lei, sia direttamente che indirettamente.
E', ovviamente, il mio personaggio preferito, anche perchè mi ci rivedo in molti aspetti. E' estremamente lunatica, un momento amichevole e chiacchierona, quello dopo fredda e distante. Prende numerose iniziative; è una convinta femminista e un'incurabile lettrice e, soprattutto, una persona profondamente triste. Il suo passato è oscurato da una vicenda che la affligge costantemente e la sua vita è tormentata da un quesito irrisolto, trovato tra le pagine del libro "Il generale e il suo labirinto" di Gabriel Garcia Marquez: "come potrò mai uscire da questo labirinto di sofferenza?".

Quest'anima tormentata non può che attirare l'attenzione (e i sentimenti) di Miles, in cerca del suo "Grande Forse", di qualcosa che dia senso alle sue giornate.
La relazione e l'atmosfera che si crea tra i due, o più in generale l'alone che sempre circonda Alaska, è classico dei libri di John Green: alcune scene e avventure vissute dai protagonisti sembrano da film, quelle che mentre le leggi pensi "a me non succederà mai"; altri comportamenti e modi di fare sono, invece, realistici e credibili, a contatto con le delusioni, coi difetti e i malumori, con le illusioni e le forti mancanze.
La cosa più intrigante del libro è la divisione in "prima" e "dopo", e la numerazione dei capitoli in base ai giorni mancanti alla svolta. Ciò che avviene è inconsciamente percepito dal lettore; un messaggio subliminale comprensibile attraverso i dialoghi e le metafore, ma risulta pur sempre sconcertante nel momento in cui avviene.
Pur essendo la seconda lettura, la sensazione che mi ha suscitato è stata come quella della prima volta, se non più forte. Come se qualcosa mi si fosse schiantato nel petto. La scrittura di John Green crea sempre l'illusione che tutto possa andare bene, ma poi, inevitabilmente, il destino compie implacabile il suo corso, proprio come nella vita reale. Ci illudiamo e ci costruiamo castelli di carta, ma basta un soffio d'aria, perchè tutto cada e dei nostri sogni resti solo cenere, venendo rispediti con impeto nella quotidianità. E questo ci fa male e sembra distruggerci, perchè quando si è giovani, tutte le emozioni ci giungono amplificate; ma alla fine riusciamo sempre a rialzarci. 
Tutto questo viene riassunto alla perfezione in questa citazione, che è una delle mie preferite: "Quando gli adulti dicono: "gli adolescenti pensano di essere invincibili" con uno stupido sorriso di scherno sul volto, non sanno quanto hanno ragione. Non dobbiamo mai essere senza speranza, perchè non possiamo mai essere irreparabilmente rotti. Crediamo di essere invincibili, perchè lo siamo. Non possiamo nascere, e non possiamo morire. Come tutta l'energia, possiamo solo cambiare forma e misura e manifestazioni. Loro se ne dimenticano quando crescono. Si lasciano spaventare dalle perdite e le sconfitte. Ma quella parte di noi migliore della somma delle nostre parti non può iniziare e non può finire, e quindi non può fallire."
E' un libro simbolico dell'adolescenza, che può sembrare piacevole e scorrevole, ma che se viene letto tra le righe, assume il compito di portavoce dei sentimenti che, almeno una volta nella vita, ognuno di noi ha provato. Ma soprattutto, insegna ad apprezzare la vita proprio grazie alla possibilità della morte, a ricostruirsi dal nulla e ricominciare da capo.


VOTO: 9,5

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