Pagine: 295
Edizione: Amulet Books
Titolo italiano: Il mio peggior amico
TRAMA
Greg Gaines è il re dello spionaggio nell'high school, in grado di scomparire a piacimento in qualsiasi ambiente sociale. Ha un solo amico, Earl, e insieme passano il tempo a far film, le loro versioni incomprensibili dei cult di Coppola e Herzog. Fino a quando la madre di Greg lo costringe a ravvivare la sua amica Rachel.
Rachel è stata diagnosticata con la leucemia - ed anche con un'estrema goffaggine - ma un mandato genitoriale è stato emesso e dovrà essere rispettato. Quando Rachel interrompe il trattamento, Greg e Earl decidono di fare un film per lei, che si trasforma ne Il Peggior Film Mai Realizzato e diventa un punto di svolta in ciascuna delle loro vite. E di colpo Greg deve abbandonare l'invisibilità e stare sotto i riflettori.
RECENSIONE
"Oh mio dio, un'altra storia d'amore in cui uno dei due è destinato a morire a causa di una malattia?!?!"
Immagino che questa debba essere stata la reazione di molti dopo il successone di Colpa delle stelle. A partire da Love story, old but gold, fino agli attualissimi Resta anche domani e Voglio vivere prima di morire, la tematica dell'amicizia o dell'amore che devono lottare contro la malattia è gettonatissima e ha dato addirittura vita al genere Sick lit che tratta di adolescenti con problemi in senso lato. Personalmente posso dire che il genere mi piace molto e trovo anche che sia molto difficile scrivere un buon libro che vi appartiene. L'affronto della morte, la depressione, la dipendenza sono problemi che attribuiremmo normalmente all'età adulta, ma che in realtà sono vissuti all'ordine del giorno dagli adolescenti. Chi decide di parlarne è un portavoce e dev'essere in grado di utilizzare un certo tatto e di solleticare il cuore e lo stomaco dei lettori per emozionare e al contempo riportare ciò che è reale.
Jesse Andrews, l'autore di questo libro, ha deciso di fare l'anticonformista. E a me gli anticonformisti sono sempre stati simpatici.
Innanzitutto, questo libro è innovativo dal punto di vista narrativo: quel "me" del titolo, Greg Gaines, scrive direttamente al lettore senza tralasciare nulla, anche commenti molto pesanti su sè stesso e sugli esiti delle attività che svolge. In effetti, è molto vittimista e pur apprezzando la consapevolezza che ha dei suoi difetti, non mi è stato simpatico per niente. E' la classica persona che non vorrei come amica, cinica e che pensa sè stessa in relazione a ciò che gli altri potrebbero pensare di lui. Nonostante ciò, come oratore non se la cava affatto male. Arriva a dirci che non capisce perchè "stiamo perdendo tempo leggendo questo orribile libro che non ha senso" e ci consiglia più volte di abbandonare la lettura, cosa che ovviamente ci spinge ad andare avanti. Bel trucchetto d'astuzia dello scrittore, che dimostra di essere anche un assiduo lettore e sembra leggere il nostro pensiero, intuire quale sarà la nostra reazione. Più volte, dopo aver raccontato un episodio, esordisce con "probabilmente starete pensando che...ma in realtà non è così" e ci azzecca sempre.
"Ma, in fondo, che diavolo significa "strano"?
L'ho appena scritto tipo cinque volte e tutto d'un colpo lo sto fissando e non significa più nulla.
Ho appena assassinato la parola "strano". Ora è solo un insieme di lettere. E' come se ora ci fossero un sacco di corpi morti sulla pagina.
Sto per andare fuori di testa. Devo andare a mangiare qualche snack o qualche scarto o qualcosa."
Tutto ciò tende a risultare costruito e studiato, mentre sicuramente non manca la spontaneità di linguaggio: pieno di esitazioni e parolacce, dà l'impressione che Greg stia improvvisando in un auditorio. Ma la teatralità di cui parlavo prima torna a vincere 2-1, perchè i personaggi sono portati all'eccesso, agli estremi della personalità, ritratti in modo iperbolico. Prendiamo ad esempio Earl. La sua casa è descritta come una vera e propria discarica, con la spazzatura e i suoi liquidi sparsi in giro. La sua famiglia è numerosa e sono tutti fratelli maschi che si autogestiscono (fallendo miseramente), perchè la mamma passa il suo tempo al piano di sopra ad ubriacarsi e a chattare. Il padre, ovviamente, è in prigione o scomparso. Le finanze di casa derivano dallo spaccio di stupefacenti, principalmente, e uno dei fratelli è il classico delinquente di quartiere che va in giro picchiando chiunque gli capiti a tiro ed ha un tatuaggio sul collo che cita "true nigga". E' l'ingresso del personaggio di Rachel a portare un po' di equilibrio e di umanità nei personaggi, forse proprio perchè, metaforicamente, impersona la morte,così terribilmente vera in un insieme fittizio. Per il resto, infatti, facile dimenticarsi che si sta parlando di malattia. Essa non è il tema principale; è più presente il carattere psicologico, la reazione dell'io in relazione alla malattia. E' una relazione vera e sfacciata di ciò che il protagonista provava, anche di cose molto poco appropriate alle circostanze.
Nonostante lo scetticismo iniziale, questo libro mi è piaciuto per la sua originalità, per la voce narrante senza filtri e incredibilmente ironica, ma soprattutto perchè è riuscito a dar voce a ciò che talvolta abbiamo nella nostra testa e non esterniamo perchè contro il buon senso.
"Mi rendo conto che probabilmente sembro ossessionato da cibo e animali.
Questo avviene perchè sono le due cose più strane di tutto il mondo. Provate a sedervi in una stanza e pensarci. In realtà, non fatelo, potreste avere un attacco di panico."
VOTO: 8
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