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mercoledì 29 luglio 2015

La dama e l'unicorno - Tracy Chevalier

La dama e l'unicorno - Tracy Chevalier
Pagine: 286
Edizione: Neri Pozza
Titolo originale: The lady and the unicorn


TRAMA                                                                                        
E' un giorno della Quaresima del 1490 a Parigi, un giorno davvero particolare per Nicolas des Innocents, pittore di insegne e miniaturista conosciuto a corte per la sua mano ferma nel dipingere volti grandi come un'unghia, e al Coq d'Or e nelle altre taverne al di qua della Senna per la sua mano lesta con le servette di bell'aspetto. Jean Le Viste, il gentiluomo le cui insegne sono ovunque tra i campi e gli acquitrini di Saint-German-des-Pres, l'ha invitato nella Grande Salle della sua casa e gli ha commissionato arazzi per coprire tutte le pareti. Una commissione da parte di Jean Le Viste significa cibo sulla tavola per settimane e notti di bagordi al Coq d'Or e Nicolas, che può resistere a tutto fuorchè alle delizie della vita, non ha esitato un istante ad accettare. Non ha esitato, però, nemmeno ad annuire davanti alla proposta di Genevieve de Nanterre, moglie di Jean Le Viste e signore di quella casa.


RECENSIONE                                                                                                                                   
Questo libro, consigliatoci dalla professoressa d'inglese, aveva delle recensioni talmente negative che non ho potuto fare a meno di leggerlo. La cosa mi incuriosiva: molte ragazze paragonavano i pensieri delle protagoniste femminili a quelli dei romanzetti rosa sdolcinati e un po' spinti. Dall'autrice de La ragazza con l'orecchino di perla, romanzo delicato e pudico che mi era piaciuto moltissimo per la capacità dell'autrice di creare scenette da quadro, proprio non me l'aspettavo.
Per un verso, chi ha scritto le critiche aveva ragione: per essere ambientato nel 1490, il romanzo è abbastanza spinto (con questo non si intendono scene pornografiche o volgari). I romanzi classici ambientati in un passato remoto, anche se più recente del Quattrocento, tendono sempre a essere molto delicati, basati su tutti i tipi d'amore tranne quello carnale. Io, però, ho apprezzato l'audacia della scrittrice, che ha deciso di mostrarci l'altra faccia della medaglia, rendendo il libro un po' meno omologato. Inoltre, la scrittura è scorrevole e ho letto il romanzo in scioltezza, solo in un paio di giorni, trovandomi coinvolta dalle prime pagine. Ciò è avvenuto soprattutto perchè otto personaggi principali diventano cantastorie a turno, raccontando da un punto di vista e anche, talvolta, da un luogo diverso: Nicolas il pittore, la moglie e la figlia di Jean ci parlano da Parigi; il tessitore Georges, sua moglie e sua figlia, l'aiutante Philippe da Bruxelles, dove avviene la creazione degli arazzi. Ognuno di questi personaggi sembra impersonare una qualità e i toni, le opinioni su ciò che avviene e sulla gente che li circonda cambiano, com'è normale che sia. E' stato bello che in un capitolo Nicolas ci parlasse delle sue abilità e in quello dopo venisse un po' smontato a causa della vanità che arrivava a renderlo antipatico agli occhi altrui. Ci si affeziona un po' a questi commenti così diversi, alle personalità dei narratori stessi. Quelle che mi sono piaciute di più, sono state le fanciulle giovani, che nonostante la vicinanza di età si trovano ai poli opposti: la figlia di Jean Le Viste, colui che ha commissionato gli arazzi, e la figlia di Georges de la Chapelle, colui che deve tesserli. La prima mi è piaciuta per il suo istinto alla ribellione, la sua grinta; la seconda per la sua leggerezza: la ragazza è cieca, ma tutti i suoi altri sensi sono affinati per via di questa mancanza e perciò cura il giardino andando a tatto e olfatto, così come si orienta per le strade e magicamente tesse, di notte, quando nessuno la vede. 
Nonostante ciò, all'immancabile confronto de La dama e l'unicorno con il precedente La ragazza con l'orecchino di perla, questo viene sorpassato alla grande. Le immagini evocate, la suggestione e l'atmosfera avvolgente che avevo trovato nel libro pubblicato nel 1999 non le ho ritrovate in questo, anche se ci speravo. E' stata una lettura piacevole e positiva da molti aspetti, ma non la definirei memorabile; mentre, non so per quale esatto motivo, ma i Paesi Bassi all'epoca di Vermeer raccontati dalla Chevalier mi sono rimasti un po' nel cuore.
 L'unica analogia che hanno i due libri è che entrambi nascono da quadri. Mi immagino l'autrice che gira affascinata in qualche galleria d'arte e ad un certo punto si ferma di fronte a un arazzo o un acquerello e vede nascere una storia dietro le trame dei tessuti o gli strati di pennellate, trae ispirazione dai colori e dalle espressioni. C'è una parola spagnola intraducibile in italiano: duende. Duende rappresenta il potere di emozionare di un'opera d'arte. A chi non è mai capitato? Vediamo una foto, vediamo un quadro e ne siamo rapiti, ci stiamo davanti per minuti interi e pensiamo: ma
com'è possibile disegnare qualcosa di tanto incredibile? oppure, ma com'è possibile che mi senta tanto presa in causa da questo sguardo, tanto impressionata da questa segna? 
A me è capitato spesso. La domanda più frequente è di solito la prima, ma anche "com'è possibile disegnare con tanta precisione un particolare tanto piccolo?". E' proprio quello che fa Nicolas des Innocents, disegnare ritratti in miniatura. Un'arte a sè stante direi, quella di ritrarre. Ritrarre significa cogliere i contorni del viso di chi hai davanti, ma anche capire ciò che si porta dentro e calcare quella determinata ruga di preoccupazione che le "stropiccia" la fronte. Allo stesso modo lei ritrae i personaggi delle sue storie, trasportandoli in epoche e luoghi lontani dai nostri.
Un romanzo carino, una lettura piacevole e una storia abbastanza particolare e intrecciata, ma se dovete leggere qualcosa di veramente incredibile di questa autrice, il mio voto resta sempre per La ragazza con l'orecchino di perla.


VOTO: 7,5

giovedì 23 luglio 2015

Il fu Mattia Pascal - Luigi Pirandello

Il fu Mattia Pascal - Luigi Pirandello
Pagine: 233
Edizione: Oscar Mondadori


TRAMA                                                                               
Il romanzo, pubblicato nel 1904, narra la storia di un timido provinciale. Mattia Pascal, che si allontana di casa dopo una delle solite liti con la moglie Romilda e la suocera e, arrivato a Montecarlo, vince, giocando a caso, diverse decine di migliaia di lire. Il possesso di una grossa somma e la lettura di una notizia di cronaca che annuncia la sua morte (un'erronea identificazione del cadavere di un disperato che si è ucciso gettandosi nel pozzo di casa Pascal), lo inducono a simulare davvero la morte e a tentare di cominciare una nuova vita. Mattia Pascal diventa così il signor Adriano Meis, e va a stabilirsi a Roma.


RECENSIONE                                                                          
Non avete mai immaginato di fingervi morti per vedere le reazioni di tutti quelli che vi stanno attorno? O per liberarvi di loro? O semplicemente per sparire e basta, per non esistere più agli occhi di nessuno e neanche ai vostri? Un po' come chi si finge morto per non farsi aggredire da un orso, perchè ti annusi un po' e poi sparisca. Ci vuole un grande autocontrollo per resistere, rimanere fermi e non rendere vani tutti gli sforzi, così come ce ne vuole a inventarsi una nuova vita, un nuovo passato, nuove origini e tenere tutto in piedi. Vivere senza pagare le tasse, senza potersi sposare, nè poter denunciare un furto, perchè per chi ti conosce e anche per lo Stato, tu sei morto. 
Sembra una condanna, ma è una manna dal cielo per Mattia Pascal. 
Mattia Pascal che è pieno di debiti.
Mattia Pascal che è solo al mondo, se non per una suocera e una moglie insopportabili. 
Mattia Pascal che fugge, sì, ma sempre per ritornare; che vorrebbe sparire, sì, ma chissà per quale motivo non lo fa mai. 
E chi potrebbe immaginare che essere riconosciuto nel cadavere di un suicida potrebbe essere una fortuna? Chi potrebbe immaginare che giocando a caso alla roulette si possano vincere un mucchio di soldi? 
L'occasione di iniziare una nuova vita gli si presenta sul treno che lo sta riconducendo a casa, quando aprendo il giornale si è trovato davanti agli occhi un elogio funebre che porta come titolo il suo nome in grassetto. Da quel momento la libertà gli si spalanca davanti, smisurata: la possibilità di vivere senza nessuno a cui dover rendere conto, senza nemmeno ufficializzare la propria esistenza, soli con sè stessi e con il proprio nuovo io. Per alcuni anche solo l'anno nuovo è un'occasione per ricominciare da capo, per lasciarsi dietro i problemi e ricostruirsi; è un inizio pieno di speranza e buoni propositi. Pensate come dev'essere trovarsi, un giorno, a doversi reinventare da capo a piedi, senza più un nome, senza più una dimora, senza più nemmeno il proprio aspetto fisico da poter tenere invariato. Un'occasione per nascere una seconda volta. 
Ma i propositi dell'anno nuovo non vengono mai rispettati, tutto resta invariato e la vita continua, ciò che c'è di nuovo è l'aver festeggiato a lungo la notte precedente. Allo stesso modo, quella di una nuova nascita non può essere altro che un'illusione, così come la completa libertà che sembra accompagnarla, in realtà piena di vincoli e catene.
Mattia Pascal, o Adriano Meis, è "vivo per la morte e morto per la vita", è in una terra di mezzo, in un limbo che non fa altro che lasciarlo in bilico.
Ma non è poi tutto così drammatico e struggente: la storia racconta anche della sua disastrata vita comune, a partire dall'infanzia, fino all'età adulta e al matrimonio, con tutti i guai che questo comporta. E poi il cambio di vita, la nuova residenza, i nuovi coinquilini. La sua quotidianità è decisamente comica, talvolta, e tutto è raccontato in un linguaggio piacevolmente leggibile e molto scorrevole, in cui ogni tanto l'autore riesce a incastrare con grande maestria dei passaggi molto filosofici. Ci sono alcuni libri di cui non si possono leggere dieci capitoli filati, che dopo una ventina di pagine bisogna posare sul comodino e fare una pausa. La narrazione di questo libro, invece, è un flusso continuo, un ruscello sinuoso che scorre in scioltezza. 
Un personaggio geniale, che personifica perfettamente la coesistenza di comicità e profondità, è il signor Anselmo, il nuovo padrone di casa di Adriano Meis, appassionato di misticismo, teologia, ma soprattutto di occulto e sedute spiritiche. Pur sembrando uno scapestrato con qualche rotella fuori posto, le sue digressioni sulla vita e sulla morte sono veramente intelligenti e anche abbastanza sorprendenti. Molto ben fatti (anche se sempre a un gradino inferiore di quello di Anselmo Paleari) sono anche tutti gli altri personaggi, nei confronti dei quali l'io narrante riesce a influenzarci senza fatica nel provare folle antipatia o smisurato affetto.
E' un romanzo sulle maschere che l'uomo si crea per sfuggire alla realtà, sulla perdità d'identità che ne consegue, di chi non sa più chi è e cosa deve fare con sè stesso. Un romanzo sui conflitti interiori che dilaniano ogni uomo anche senza che gli siano accadute le stesse incredibili vicende di Mattia Pascal; un romanzo che dimostra quanto la vita non possa mai essere completamente libera, poichè in qualche modo ci troveremo sempre legati a qualcuno o a qualcosa e non possiamo esistere soli con noi stessi.


VOTO: 9.5

venerdì 17 luglio 2015

The reader, A voce alta - Bernhard Schlink

The reader - Bernhard Schlink
Pagine: 180
Edizione: Garzanti
Titolo originale: The reader


TRAMA                                                                                      
Siamo negli anni Cinquanta e Michael Berg attraversa i primi turbamenti dell'adolescenza. Quando un giorno, per la strada, si sente male, viene soccorso da Hanna, che ha da poco superato la trentina. Colpito da questa donna gentile e sconosciuta, irresistibilmente attratto dalla sua misteriosa e profonda sensualità, Michael riesce a rintracciarla. Tra loro nasce un'intensa relazione, fatta di passioni e di pudori. Presto, però, Michael intuisce che nella vita di Hanna, nel suo passato, ci sono altri misteri: qualcosa che lei non può rivelargli e che segnerà per sempre il destino di entrambi.


RECENSIONE                                                                                                                      
Una storia d'amore illecita. Lei trentenne, lui quindicenne; lui è la sua metà, ma non nel senso che di solito s'intende. 
Una vita rovinata da questo amore malato, travolgente e unico, sempre non nel senso che si intende di solito. 
Un processo, un'ossessione portata avanti anche quando si potrebbe lasciare "indietro".
Il libro è diviso in tre parti, la cui scarna presentazione potrebbe essere quella che io ho scritto. Si può dire che il filone centrale sia l'amore. Un amore prematuro da una parte, tardivo dall'altra. Hanna potrebbe quasi essere sua madre, è una donna che lavora e vive sola; ma il suo fascino, la sua sensualità e anche il suo mistero soggiogano Michael. Incuranti del divario che li separa, molto audaci, quasi imprudenti, portano avanti il loro amore che non ha età. Ma per noi lettori è impossibile dimenticarsene, la superiorità di Hanna è onnipresente: nel modo in cui si muove, nel modo in cui parla, nel modo in cui si relaziona c'è una rigidità e una compostezza che tendono a far muro nei confronti di Michael e del lettore stesso, come se attraverso i forellini che cerchiamo di scavare in quel muro, lei non ci lasciasse guardare. Innamorarsi significa anche lasciarsi modellare dall'altro, lasciarsi andare nelle sue mani, ma lei mi ha dato l'impressione di essere talmente poco malleabile, da non poter essere innamorata veramente. D'altra parte, invece, Michael è ossessionato da questa donna che arrivare a sostituire, in qualche modo, la figura materna totalmente assente nel libro, come se invece di amore si trattasse di un qualche tipo particolare di nevrosi. E' infestato da Hanna ed è condizionato da lei anche quando lei scompare, uscendo bruscamente dalla sua vita senza nemmeno salutare.
Attorno a questa "ciocca" centrale della treccia, si annodano altri temi e altri tempi. Michael cresce e sulla sua strada, il tempo dell'adolescenza sfuma in lontananza e i suoi passi lo conducono verso l'età adulta, verso gli studi di legge, verso un tribunale. Ma anche verso il matrimonio, verso una figlia, verso il divorzio, perchè nessuno potrà mai essere come Hanna. Hanna che lui ha visto seduta, rigida e composta, al banco degli imputati.
Il tema del confronto col passato nazista, di una generazione indignata nei confronti di chi ha potuto lasciar accadere scempi e stragi; il tema della vergogna, che può arrivare a compromettere un'intera vita.
La base, l'idea di fondo su cui poggia questo libro è estremamente buona. Accattivante, provocatrice, importante, poichè su temi simili non bisogna lasciar cadere il silenzio. Ciò che non mi è andato proprio a genio è lo stile, la scrittura, la narrazione. Ho trovato che non fosse particolarmente scorrevole, la lettura è continuamente intralciata dai grovigli indistricabili di pensieri o dai capitoli troppo brevi che spezzano l'insieme. Inoltre, tutto sembra abbastanza abbozzato: i racconti sembrano tutti staccati fra loro, come tante stampe di diapositive in un album fotografico, divise tra loro da uno strato di carta e divise dall'osservatore da una pellicola trasparente. Sono tanti flash abbastanza superficiali, nonostante talvolta si lasci spazio a qualche riflessione meditativa del protagonista e si può dire che la pellicola trasparente che divide l'immagine dal lettore sia lo stile. Come quando le opere d'arte, le statue, i quadri grandiosi sono chiusi dietro a enormi teche di vetro per evitare che si rovinino e, certo, l'usura del tempo si sente meno e sono protette da qualche matto che potrebbe farle a pezzi, ma la visuale per l'innocuo appassionato che vorrebbe rimanere stupefatto davanti alla potenza dell'arte è
ostacolata. Allo stesso modo, la storia ci viene raccontata da una voce fredda, distaccata e totalmente priva di pathos, che elimina del tutto l'emozione che ci si aspetta da un libro simile. L'amore illecito, il processo giudiziario, la vita tormentata sono cosa che nella vita normale ci farebbero struggere, commuovere, infervorare, ma che nel libro sono totalmente piatte.
E' il solito caso di una storia che è come un'ingannevole casetta: un giardino curato e l'intonaco immacolato all'esterno, ma i pavimenti sporchi e un odore opprimente all'interno; qualcosa che promette bene da fuori, ma che poi si conclude in un mucchietto di cenere.


VOTO: 6-

mercoledì 8 luglio 2015

Le vergini suicide - Jeffrey Eugenides

Le vergini suicide - Jeffrey Eugenides
Pagine: 266
Edizione: Mondadori
Titolo originale: The virgin suicides


TRAMA                                                                                      
Un narratore collettivo, voce di un gruppo di coetanei maschi, rievoca a vent'anni di distanza la vicenda delle cinque sorelle Lisbon, oggetto proibito della loro adolescenza, avvolte in un'aura di mistero che la tragica fine comune - si sono tutte tolte la vita nel breve spazio di un anno - ha fissato per sempre. Nella memoria di questi antichi, tenacissimi spasimanti, esse divengono il simbolo di una possibilità remota e perduta: l'irruzione di un fremito ignoto nel mondo tranquillo, ordinario, opprimente dell'America suburbana degli anni Settanta. 



RECENSIONE                                                                                                                             
Cecilia, Bonnie, Lux, Mary, Therese. 
Tagli sui polsi, voli da una finestra, una testa nel forno, il monossido di carbonio di un auto, una corda appesa al soffitto, una smisurata quantità di sonniferi. 
Le cinque sorelle Lisbon sono giovani e carine, ma fin dall'inizio (il titolo è già di per sè uno spoiler) sappiamo che il destino che le attende non è brillante. Questo libro non è un giallo, non si basa su indagini o suspence da batticuore; non c'è bisogno di mantenere segreto il finale. E' un documentario scritto, una raccolta di informazioni sulla morte, più che sulla vita, di cinque sorelle che in un piccolo e noioso paesino erano diventate l'ossessione quasi morbosa di un gruppo di ragazzi. Erano le cinque attrici illuminate sullo schermo di un cinema, mentre il pubblico davanti a loro era oscurato. I giovani ammiratori sono solo ombre parlanti, che riportano testimonianze dirette e indirette, ma che non si considerano abbastanza importanti da dirci il loro nome, come se non volessero togliere l'attenzione dalle star dello show. 
Il libro inizia col botto. Fin dalla prima pagina è scorrevole, coinvolgente, non si riesce letteralmente a smettere di leggere. L'ho iniziato di notte, ero stanca e mi son detta che avrei letto una pagina o due prima di dormire, ma invece di un po' di pagine ho letto un po' di capitoli e il pentimento è arrivato solo la mattina dopo. 
E' Cecilia a dare inizio alle danze, il suo primo piano ben fissato dalla cinepresa, che poi si sposta ad inquadrare una vasca da bagno, una macchia di sangue, i polsi tagliati. Per un bel po' di capitoli tutto sembra ruotare attorno a lei: le stanze di casa, una festina nel seminterrato, il giardino, la scuola. 
Il documentario prosegue dipingendo le reclusione delle ragazze e il degrado della casa sia all'esterno che all'interno, nei muri e in chi la abita. La condizione in cui vivono è portata all'estremo, ai limiti del reale e dell'immaginabile. E' come se fossero all'interno di una favola distorta e in contrasto con sè stessa: i loro capelli sbarazzini, le loro gonnelline e l'ammirazione che tutti hanno di loro le fanno sembrare principesse, ma in realtà la loro vita è molto peggio di quella di Cenerentola e sembra che nessuna fatina possa salvarle e portarle dal principe azzurro. Si può dire che la matrigna sia composta da due persone in uno stesso corpo: la madre, troppo presente, e il padre, troppo assente. La madre è possessiva, bigotta, rappresenta l'amore materno soffocante; il padre è succube, passivo, un complice della sconsideratezza della moglie.
Dopo la detronizzazione di Cecilia, la corona si posa sul capo di Lux, di certo la mia preferita. Lux è delle quattro la più ribelle, la più stilosa, la più anticonformista. Spicca tra tutte le testoline bionde delle altre e sembra essere l'unica che si può salvare, l'unica che non si farà schiacciare dagli opprimenti muri di casa e che combatterà con tutte le sue armi: sigarette, relazioni amorose decisamente poco caste, occhiate sensuali e vestiti che lasciano poco all'immaginazione. Ma dietro tutto questo sembra nascondersi una grande tristezza cronica, come se tutto il resto fosse solo un'armatura per non lasciar vedere ciò che la divora dall'interno.
Mi sarei aspettata che, dopo tutta la cura dedicata a descrivere le prime due sorelle, il testimone sarebbe passato di mano in mano tra Bonnie, Mary, Therese, ma questo non avviene. Mi è sembrato un trattamento poco equo che due delle cinque vengano messe sul piedistallo e che le altre vengano lasciate nell'ombra, oltretutto perchè tutto lo spazio che sta in mezzo tra l'inizio e il finale è una narrazione lenta e monotona che si sarebbe potuta utilizzare meglio.
L'unica altra cosa che mi è piaciuta molto, oltre al personaggio di Lux, è stata l'ironia distaccata con cui l'autore sembra prendere in giro i giornalisti e i medici che si occupano del "suicidio patologico" delle cinque sorelle: chi le ritrae come cinque sataniste dal comportamento eretico e peccaminoso, chi costruisce attorno a loro castelli di carta solo per fare scalpore. Ma soprattutto, la superficialità (purtroppo comune) di chi si limita a biasimarle senza indagare le cause, di chi definisce il suicidio come un virus che la prima di loro ha sparso nella casa infettando le altre.
Finalmente, ormai quasi giunto al termine, il libro si riscuote e si conclude con un monologo di grande enfasi oratoria del narratore.
Un libro con un bell'inizio e un bel finale, ma con in mezzo una vallata che si sarebbe potuta riempire di terra fino a raggiungere il livello degli altri due picchi.

"Non riuscivamo a immaginare il vuoto interiore di un essere umano che si accostava un rasoio al polso e si apriva le vene: il vuoto e la calma. E abbiamo dovuto imbrattarci il muso nelle loro ultime tracce, orma fangose sul pavimento, bauli calciati via, respirare per sempre l'aria delle stanze dove si sono uccise. In fondo non contava quanti anni avessero, o che fossero delle ragazze, ma solo il fatto che le avevamo amate e che loro non avevano udito il nostro richiamo."


VOTO: 6,5