La dama e l'unicorno - Tracy Chevalier
Pagine: 286
Edizione: Neri Pozza
Titolo originale: The lady and the unicorn
TRAMA
E' un giorno della Quaresima del 1490 a Parigi, un giorno davvero particolare per Nicolas des Innocents, pittore di insegne e miniaturista conosciuto a corte per la sua mano ferma nel dipingere volti grandi come un'unghia, e al Coq d'Or e nelle altre taverne al di qua della Senna per la sua mano lesta con le servette di bell'aspetto. Jean Le Viste, il gentiluomo le cui insegne sono ovunque tra i campi e gli acquitrini di Saint-German-des-Pres, l'ha invitato nella Grande Salle della sua casa e gli ha commissionato arazzi per coprire tutte le pareti. Una commissione da parte di Jean Le Viste significa cibo sulla tavola per settimane e notti di bagordi al Coq d'Or e Nicolas, che può resistere a tutto fuorchè alle delizie della vita, non ha esitato un istante ad accettare. Non ha esitato, però, nemmeno ad annuire davanti alla proposta di Genevieve de Nanterre, moglie di Jean Le Viste e signore di quella casa.
RECENSIONE
Questo libro, consigliatoci dalla professoressa d'inglese, aveva delle recensioni talmente negative che non ho potuto fare a meno di leggerlo. La cosa mi incuriosiva: molte ragazze paragonavano i pensieri delle protagoniste femminili a quelli dei romanzetti rosa sdolcinati e un po' spinti. Dall'autrice de La ragazza con l'orecchino di perla, romanzo delicato e pudico che mi era piaciuto moltissimo per la capacità dell'autrice di creare scenette da quadro, proprio non me l'aspettavo.
Per un verso, chi ha scritto le critiche aveva ragione: per essere ambientato nel 1490, il romanzo è abbastanza spinto (con questo non si intendono scene pornografiche o volgari). I romanzi classici ambientati in un passato remoto, anche se più recente del Quattrocento, tendono sempre a essere molto delicati, basati su tutti i tipi d'amore tranne quello carnale. Io, però, ho apprezzato l'audacia della scrittrice, che ha deciso di mostrarci l'altra faccia della medaglia, rendendo il libro un po' meno omologato. Inoltre, la scrittura è scorrevole e ho letto il romanzo in scioltezza, solo in un paio di giorni, trovandomi coinvolta dalle prime pagine. Ciò è avvenuto soprattutto perchè otto personaggi principali diventano cantastorie a turno, raccontando da un punto di vista e anche, talvolta, da un luogo diverso: Nicolas il pittore, la moglie e la figlia di Jean ci parlano da Parigi; il tessitore Georges, sua moglie e sua figlia, l'aiutante Philippe da Bruxelles, dove avviene la creazione degli arazzi. Ognuno di questi personaggi sembra impersonare una qualità e i toni, le opinioni su ciò che avviene e sulla gente che li circonda cambiano, com'è normale che sia. E' stato bello che in un capitolo Nicolas ci parlasse delle sue abilità e in quello dopo venisse un po' smontato a causa della vanità che arrivava a renderlo antipatico agli occhi altrui. Ci si affeziona un po' a questi commenti così diversi, alle personalità dei narratori stessi. Quelle che mi sono piaciute di più, sono state le fanciulle giovani, che nonostante la vicinanza di età si trovano ai poli opposti: la figlia di Jean Le Viste, colui che ha commissionato gli arazzi, e la figlia di Georges de la Chapelle, colui che deve tesserli. La prima mi è piaciuta per il suo istinto alla ribellione, la sua grinta; la seconda per la sua leggerezza: la ragazza è cieca, ma tutti i suoi altri sensi sono affinati per via di questa mancanza e perciò cura il giardino andando a tatto e olfatto, così come si orienta per le strade e magicamente tesse, di notte, quando nessuno la vede.
Nonostante ciò, all'immancabile confronto de La dama e l'unicorno con il precedente La ragazza con l'orecchino di perla, questo viene sorpassato alla grande. Le immagini evocate, la suggestione e l'atmosfera avvolgente che avevo trovato nel libro pubblicato nel 1999 non le ho ritrovate in questo, anche se ci speravo. E' stata una lettura piacevole e positiva da molti aspetti, ma non la definirei memorabile; mentre, non so per quale esatto motivo, ma i Paesi Bassi all'epoca di Vermeer raccontati dalla Chevalier mi sono rimasti un po' nel cuore.
L'unica analogia che hanno i due libri è che entrambi nascono da quadri. Mi immagino l'autrice che gira affascinata in qualche galleria d'arte e ad un certo punto si ferma di fronte a un arazzo o un acquerello e vede nascere una storia dietro le trame dei tessuti o gli strati di pennellate, trae ispirazione dai colori e dalle espressioni. C'è una parola spagnola intraducibile in italiano: duende. Duende rappresenta il potere di emozionare di un'opera d'arte. A chi non è mai capitato? Vediamo una foto, vediamo un quadro e ne siamo rapiti, ci stiamo davanti per minuti interi e pensiamo: ma
com'è possibile disegnare qualcosa di tanto incredibile? oppure, ma com'è possibile che mi senta tanto presa in causa da questo sguardo, tanto impressionata da questa segna?
A me è capitato spesso. La domanda più frequente è di solito la prima, ma anche "com'è possibile disegnare con tanta precisione un particolare tanto piccolo?". E' proprio quello che fa Nicolas des Innocents, disegnare ritratti in miniatura. Un'arte a sè stante direi, quella di ritrarre. Ritrarre significa cogliere i contorni del viso di chi hai davanti, ma anche capire ciò che si porta dentro e calcare quella determinata ruga di preoccupazione che le "stropiccia" la fronte. Allo stesso modo lei ritrae i personaggi delle sue storie, trasportandoli in epoche e luoghi lontani dai nostri.
Un romanzo carino, una lettura piacevole e una storia abbastanza particolare e intrecciata, ma se dovete leggere qualcosa di veramente incredibile di questa autrice, il mio voto resta sempre per La ragazza con l'orecchino di perla.
VOTO: 7,5
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